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Gerald Williams

Roberto Sala

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Gerald Williams

Segnato dalle battaglie civili che culminarono con l’assassinio di Martin Luther King Jr. e dagli scontri che in seguito attraversarono gli Stati Uniti, il 1968 fu un momento cruciale di svolta nelle relazioni tra le “razze” del paese. In quell’anno cinque artisti afroamericani formarono a Chicago un collettivo che si proponeva di dare valore all’arte nera definendo la sua estetica, e che fu conosciuto come AfriCOBRA (African Commune of Bad Relevant Artists). Come disse uno dei suoi membri fondatori, Gerald Williams, in un’intervista del 2011 – rilasciata nell’ambito del progetto di storia orale Never The Same -, il gruppo, ancor oggi attivo, si prefiggeva di indagare se esistesse o potesse esistere qualcosa di culturalmente specifico nell’arte nera.

La recente breve rassegna di Kavi Gupta sul lavoro di Williams ha esposto una dozzina di acrilici datati dal 1969 al 2017. Si è trattato della prima personale in più di venti anni di attività di un artista che, dopo aver vissuto in varie parti del mondo (lavorando come amministratore delle attività legate alle arti dell’Air Force), nel 2015 è tornato a West Wooklawn, nel South Side di Chicago, dove è cresciuto. Uno dei meno recenti dipinti presenti in mostra, Say it Loud (1969), chiarisce le caratteristiche consolidate dei lavori AfriCOBRA: figure nere, colori vivaci ispirati ai vestiti dai colori sgargianti tipici degli anni Sessanta e Settanta, e testo (qui le parole del titolo spiccano su uno sfondo a forme geometriche), a imitazione dei graffiti che ovunque coprivano i muri della linea L di Chicago. Nell’aderire a certi comuni principi stilistici, ogni membro di AfriCOBRA era poi libero di sviluppare il suo approccio. Williams formulò una sua distintiva cifra di puntinismo, realizzando dipinti fatti di puntini che talvolta sembrano evocare l’arte indigena.

L’artista ha respinto questo collegamento ma ha riconosciuto l’influenza di Paul Klee, il quale usò puntini in opere come Sunset (1930). Un esempio tipico di puntinismo in Williams è  Message from a Giant—Garvey (1976/2017). Qui figurazione ed astrazione si combinano: volti e forme emergono e si integrano in un patchwork multicolore le cui sezioni sono meticolosamente circoscritte da puntini e cerchi di varie misure. Affine a questo è Portrait Y (1990), in cui vediamo un volto simile a una maschera al centro e testi scritti in forma ondulata in basso. In Nostalgia (2007) Williams abbandona le figure organizzate su piani e utilizza i puntini per creare forme indistinte che evocano un paesaggio calmo e astratto in cui la terra si confonde col cielo. Stilisticamente simili sono Fragmentary Apparitions #1 e Fragmentary Apparitions #2 (entrambi del 2010), in cui compaiono motivi ambigui e simbolici che ricordano i totem.

Oltre a presentare questa personale, Williams ha recentemente partecipato a importanti mostre collettive, tra le quali “Soul of a Nation: Art in the Age of Black Power” al Tate Modern di Londra. In un momento in cui la narrazione storico-artistica diventa più inclusiva e molte delle istanze degli anni Sessanta tornano alla ribalta con movimenti come Black Lives Matter, il linguaggio per immagini fortemente identitario di questo co-fondatore di AfriCOBRA non h perso nulla del suo valore.

Kyle MacMillan

Articolo originale apparso su Art in America.
Traduzione di Cristina Rosati

Copyright © Kyle MacMillan. Originally published by Art in America, January 2017.
Republished by permission of the author and Art Media Holdings, LLC, New York.

Tags: #traduzioni

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