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Anish Kapoor

Paolo Spadano

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Anish Kapoor, Untitled, 2010, granito nero, cm.265x150x53, piazzetta San Luca (Brescia)Una personale del celebre artista indiano Anish Kapoor è in corso dal 26 Maggio da Massimo Minini e, con essa, hanno aperto al pubblico i nuovi spazi espositivi della galleria bresciana. La mostra, che proseguirà fino al 31 Luglio è stata seguita dall’inaugurazione, il 31 Maggio, di una scultura permanente in granito nero in piazzetta San Luca, nel cuore pulsante della città.

In occasione di quest’ultima personale, la quarta nella galleria, lo scrittore Tiziano Scarpa ha scritto: “Non ho mai incontrato un’idea da sola, un’idea pura. E d’altronde, esistono le idee pure? Che cos’è un’idea, se non qualcosa di molto confuso? Come potrei rappresentare un’idea, se non come un’acqua torbida, in cui passa un pesce, galleggia la cartina di una caramella e ci piove dentro? L’idea non è una sfera, perfetta, liscia, non è un cubo, perfetto, liscio. Piuttosto, rischia di essere un cubo dalla superficie diseguale, abrasiva, e con molte aperture, e qualche faccia sghemba: ed ecco che il mio cubo finisce per assomigliare a una casa. Le mie idee assomigliano a una città. La mia idea assomiglia alla realtà. Questa città in cui sto camminando è la realtà, dunque la realtà, in realtà, è un’idea, è l’idea perfetta. Non va bene. Mi sto conducendo in una pista falsa. Mi sto illudendo. Sto rendendomi la vita comoda. Sto facendo finta che le idee non ci sia bisogno di pensarle, perché si incontrano abitualmente fuori di noi: basta fare una passeggiata per la città. Allora esco da me stesso, visto che qui dentro c’è una tendenza a pensare idee troppo facili. Provo a guardarmi da fuori. Il nostro protagonista, Tiziano Scarpa, camminava per la città pensando alle idee pure. Provava a pensare alle idee pure. Ma poi perché sarebbero dovute essere pure, le idee? Che cosa intendeva dire, con “pure”? Mettiamo che intendesse idee isolate, separate dalle altre. Prendiamo l’acqua: separiamola dalle particelle di terra in sospensione, separiamola dal pesce che ci nuota, dalla cartina di caramella che galleggia e dalle gocce che ci piovono dentro. Perché invece non dovrebbe essere complessa, l’idea, e amalgamata, e composita? Sarebbe stato interessante imbattersi in un’idea vera. Tiziano Scarpa bighellonava nella sua città, che a questo punto potremmo sospettare non fosse nient’altro che una sua idea, un suo pensamento composito e complesso, e anche piuttosto confuso, non ben definito nei dettagli. Un’urbanistica possibile, in cui incontrava cubi abrasivi pieni di aperture: edifici, in altre parole; case. Ecco: in altre parole. Proviamo con le parole: le idee sono parole, le parole sono idee. Ma anche le parole sono stratificate, vaghe, colme di risonanze. Torbide, percorse da pesci e cartine di caramelle, dove piove dentro. Per esempio, la parola “esempio” significa qualcosa che si prende nel mucchio per dimostrare le caratteristiche di quel mucchio, ma significa anche altre cose, un modello di comportamento da imitare. Tiziano Scarpa edificò una parola monumentale nel mezzo della sua città ideale. Spianò una piazza, ed edificò la parola “idea”. La guardò. Ci pensò su. Si rese conto che, per rappresentare un’idea, gli veniva spontaneo pensare a dimensioni monumentali. L’idea lo spingeva alla grandezza, era voluminosa. L’idea era un monumento; e un monumento era un’idea. Tiziano Scarpa contemplò la parola “idea” che aveva appena edificato al centro della piazza, una parola di dimensioni monumentali. Si avvicinò. La toccò. Era trasparente, non aveva consistenza, il gesto che intendeva toccarla ci entrava dentro. Era un’idea troppo ideale. Tiziano Scarpa voleva qualcosa di meno evanescente. Continuò a camminare nella sua città. In un’altra piazza, incontrò un disco infitto nel terreno. Era un’idea edificata da qualcun altro. Tiziano Scarpa non sarebbe mai stato capace di pensarla da sé. La considerò con attenzione. Quell’idea gli ricordava una specie di sole al tramonto, che si stesse eclissando sotto l’orizzonte, era già invisibile per metà. Un semicerchio. Quell’idea veniva modellata da una lamina di metallo che la sagomava, ruotando, percorrendola a ventaglio, da sinistra a destra, da destra a sinistra, per tutti i suoi centottantagradi di ampiezza. Bene, si disse Tiziano, questa è una buona approssimazione della mia idea di idea. È una forma che allude a una forma pura, ma non riesce ad essere completamente pura, né del tutto isolata. Non è pura, perché la grande lamina di metallo, nel sagomarla, ha raschiato via la materia ideale in eccedenza, che giace a terra, in grumi. La superficie non è perfettamente liscia. E poi non è isolata, perché è un’idea che fa pensare ad altre cose, per esempio a un sole al tramonto. Dunque è un’idea che non può fare a meno di contenerne un’altra: la sua presenza si alterna fra un’idea astratta, che non fa pensare a nient’altro che a sé stessa, e un’idea metaforica, imitativa, mimetica, che richiama l’idea di un’altra cosa, un sole al tramonto. È di grandi dimensioni, pensò Tiziano Scarpa, mi fa sentire piccolo, ma d’altronde, imitando qualcosa di immenso come il sole, contemporaneamente fa sentire piccolissima anche sé stessa. Io, portatore sano di mortalità, mi sento a mio agio di fronte a un’idea così. Non mi sento troppo imperfetto, di fronte a questa idea, né mi sento troppo piccolo. Posso affrontarla. Siamo amici. È un’idea che sta facendo i conti con la mia mortalità. Non so se in questo è una vera idea, però. Che cosa c’entra la mortalità con le idee? Non dovrebbero essere indifferenti alla mia mortalità, se sono idee? Oppure le cose stanno così: io non posso incontrare che cose mortali, proprio in quanto le incontro io, proprio in quanto è la mia mortalità a incontrarle. A questo punto qualcosa si ribellò dentro Tiziano Scarpa, si ribellò contro Tiziano Scarpa stesso e contro ciò che stava pensando: questa ribellione espresse l’idea più mortale che gli venne in mente. Improvvisamente, girato l’angolo, restò sbalordito. Incontrò qualcosa di ancora più mortale, più umano di quello che era riuscito a pensare da sé. Sporgeva dal muro di un edificio. Era una vagina in versione monumentale, liscia, satinata, metallizzata, quasi astratta. Questa volta, dunque, un’idea indubitabilmente mortale gli si presentò in una versione demortalizzata, eternizzata: idealizzata. Il portatore sano di mortalità (che a questo punto non poteva significare nient’altro che: il portatore infetto di idee) che rispondeva al nome di Tiziano Scarpa si mise di fronte all’idea di vagina, una forma bivalve, dall’interno stilizzato, sommario. Tiziano Scarpa fece un gesto non premeditato: si mise di fronte a quella forma e pronunciò una parola. Disse: “Idea”. Glielo disse in faccia, per così dire, depositando la sua voce dentro quell’idea monumentale di vagina. Sorprendentemente, la sua voce venne distorta da quella forma cava, era irriconoscibile, risuonò come stilizzata, spolpata. Catturata da quel grande orecchio vaginale, da quel padiglione acustico sessuato, la parola si svincolò dalla voce di chi l’aveva pronunciata, da colui che l’aveva pensata. Fu così che la parola “idea”, e l’idea stessa, venne monumentalizzata, si separò definitivamente da colui che l’aveva ideata, iniziò a vivere di vita propria. Quanto a Tiziano Scarpa, egli morì all’istante.”

Tags: Brescia Italia

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