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Runo Lagomarsino – We are each other’s air

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Runo Lagomarsino

Runo Lagomarsino, America I use your name in vain, 2019, 16 mm film transferred to HD with sound, video still

“Abbiamo bisogno di un altro tipo di storie” dice Donna Haraway guardando la telecamera in Storytelling for Earthly Survival di Fabrizio Terranova (2016), e con queste parole apre uno sterminato orizzonte di possibilità riguardo alla forma che queste altre storie potrebbero prendere. Perché la nostra vita terrena sia bilanciata, le storie deboli devono essere rese forti, mentre quelle dominanti devono essere indebolite. La pratica di Runo Lagomarsino si costruisce attorno al bisogno forte di un altro tipo di storie plasmate dal persistere della presenza di fronte alle narrazioni dominanti del potere.

L’artista è ben consapevole di come il linguaggio sia al tempo stesso un luogo di emancipazione e di soggiogamento. Nel suo approccio, la materialità diventa uno strumento e un contesto per la narrazione; è trasformata dalla frizione nel momento in cui si trova al cospetto della presenza. Lagomarsino ha intitolato la sua nuova personale per Francesca Minini We are each other’s air, dando poeticamente risalto al dilemma della presenza e all’impossibilità del contenimento, a cui rimanda l’aria come elemento vitale. I nuovi lavori che ha realizzato per la mostra sperimentano il contenimento in diverse forme ed elementi, abbattendo i confini tra materialità e immaterialità in diversi domini della politica e della poetica. Come sempre, emerge il senso dell’umorismo tagliente e idiosincratico dell’artista, che mette a confronto storie bifronti della modernità. […]

[…] We live on the ruins of previous futures (2015-2019) rappresenta il passaggio successivo dell’altro tipo di storia. Composto da barattoli di vetro, lampadine rotte e bruciate raccolte negli appartamenti in cui l’artista e la sua famiglia hanno vissuto negli ultimi quattro anni in diversi paesi e continenti, il lavoro trasferisce l’istituzione stessa dell’Illuminismo nello spazio domestico, enfatizzando ciò che collega, dal punto di vista ideologico, il sublime istituzionale e l’ordinario quotidiano. Mettendo in barattolo lampadine usate, bruciate e rotte, Lagomarsino allude al processo di demistificazione e remistificazione presente in Lampada Annuale, il lavoro di uno dei suoi artisti di riferimento, Alighiero Boetti (1966), dove un’unica grossa lampadina in una scatola di legno foderata di specchi si accende casualmente per undici secondi l’anno.

La memorializzazione dei ricordi che non si possono contenere è molto evidente in Air d’exil (we smoke for the dead, we store for the dead, but they are not dead) (2019). La colonialità del potere è una condizione ricorrente nelle società contemporanee dell’America Latina, e plasma l’eredità vivente del colonialismo nella forma della discriminazione sociale e dell’interventismo politico. Venendo da una famiglia dapprima costretta a migrare in Argentina dall’Italia prima del culmine della Guerra mondiale coloniale, e poi costretta a lasciare l’Argentina della dittatura militare nel 1976 per andare in Svezia, Lagomarsino ha una conoscenza diretta delle forme del fascismo da cui la mente coloniale è prodotta, e che essa stessa continua a produrre per mantenersi.

Così i morti non riposano mai in pace. Le ampolle di vetro soffiate a mano, ispirate a Air de Paris di Marcel Duchamp (1964) e riempite del fumo invisibile delle sigarette dell’argentino Jockey Club del 1976, producono un’inquietante sensazione di perdita, e al tempo stesso di smarrimento. Come le storie perlopiù invisibili di morte ed esilio, veicolano una sorta di malinconia difficile da circoscrivere.

Quando Richard Serra nel 1968 realizzò il suo famoso Hand Catching Lead, ispirato a Hand Movie di Yvonne Rainer (1967-68), che mostrava una specie di ginnastica per le dita, Rosalind Krauss interpretò la mano in movimento, che provava, non riusciva e riprovava ad afferrare un materiale in un ciclo ripetitivo, come un gesto di autoriflessione e autoreferenzialità. La questione di come sono scritte le storie dell’arte, da chi e per chi, si pone in America I Use Your Name in Vain (2019). Quale tipo di modelli propone la storia dell’arte occidentale agli altri artisti che sono plasmati da contesti diversi di potere?

La mano iconica dell’artista minimalista che rivendica ironicamente il suo materiale si traduce nella mano precaria di Lagomarsino che cerca di afferrare il cerchio interno di metallo di un real brasiliano, una delle valute più instabili nell’economia mondiale, pretendendo un’autoriflessione da parte di chi scrive la storia dell’arte. D’altro lato, il video può essere letto come una relazione sulla perdita in corso delle risorse esistenti nelle terre colonizzate, dal passato fino al giorno d’oggi. E indica come queste due questioni debbano essere considerate nel loro rapporto, più che trattate come situazioni separate tramite una riduzione. Quando il cuore della moneta cade sul pavimento, i bordi esterni dorati vengono uniti insieme su un grande cerchio d’acciaio per The Infernal Circles (2019).

“Prima di tutto, cerco di vedere che cosa c’è dietro l’immagine” dice Runo Lagomarsino. Sa che il mondo è un luogo in cui ci troviamo tra dèi alieni dotati di armi magiche, come dice un canto di protezione Navajo. La sua saggezza nomadica, costruitasi tra Nord e Sud, tra continenti, oceani e rivolgimenti politici causati dalle narrazioni dominanti, si fonda sull’intuizione che ciò che si pretende di contenere non potrà mai essere contenuto. Così We are each other’s air invita generosamente il pubblico a immaginare insieme il materiale e i vuoti immateriali lasciati deliberatamente aperti. Le storie di Runo Lagomarsino saranno sempre dell’altro tipo.

Övül Ö. Durmusoglu
30/04/2019, Berlin/Amman



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