home Heuresis Il segreto di Maria – Alcune note su “Vita e opere della Capasso” (2019) secondo Piscicelli [II parte]

Il segreto di Maria – Alcune note su “Vita e opere della Capasso” (2019) secondo Piscicelli [II parte]

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Vi sono passioni che restringono l’anima e la rendono immobile […] altre l’allargano e la proiettano fuori

Blaise Pascal, Discorsi sulle passioni d’amore

1.La dissuasione non è un umore minore. È un sentimento segreto dell’anima. L’animo si dissuade come la mente calcola il segreto di Maria o il bisogno impelle, si tratta in un certo senso della sua funzione naturale, del suo “trattenuto sollievo aggressivo”. La dissuasione vuole far conoscere il proprio stato attraverso il trattenimento della disperazione e delle lacrime. In una delle sue riflessioni sul barocco, Baltasar Gracián definisce i sentimenti “brecce della mente”. Pascal parla di una inondazione necessaria di passioni, che sono in grado di gestire i grandi animi. E poiché le passioni della Madre sono movimento, Maria concentra nella sua dissuasione appassionata il progetto cinico della liberazione e del segreto. Gli occhi di Maria sono i canali attraverso i quali la passione materna sfonda lo schermo e la pagina scritta della sceneggiatura, conservando la prole come “puro segreto”. Icastiche metamorfosi in cui si rinnova il fuoco mobile delle sue passioni, la dissuasione dello scoraggiamento offre alla madre post-barocca un mezzo per esprimersi all’esterno del corpo attraverso il corpo stesso, per trovare il suo termine di paragone al di fuori di esso. La dark lady è una prova sperimentale della dissuasione e dell’effetto egizio, come lo chiamerebbe Hegel nelle Lezioni di filosofia della storia. Lady di carne che offre al sacrificio un corpo di madre nel quale incarnarsi, l’intrattenimento della lacrima ha origine nel bisogno, scorre dal corpo ma non fa esattamente parte del corpo. È carne prediletta dell’anima, o anima corteggiata dalla passione della madre: la vita di Maria Capasso, pur essendo puro segreto, ha virtù che può esercitare nell’occulto dell’affezione, ecco perchè ha un’inclinazione naturale ad unirsi alla resistenza della Mater Dolorosa di Cagnacci. A dissuadersi dal pianto è un altro modo di vedere, d’intendere, di salvaguardarsi, ma anche semplicemente di amare i propri figli.    

La madre delinquente, con Salvatore Piscicelli, raccoglie forse una sfida. Quella di mettere alla prova, nonostante i pregiudizi del nostro tempo, quanto la «scaltrezza femmina» ci sappia fare con l’impossibile. Ma di quale impossibile paterno si tratta? È nell’atto di esporre un caso clinico-sociale che Salvatore sperimenta quanto la performance della Dark Lady sfugga ad un sapere della corruzione. Di questo disagio non rimane che una sorta di formula filmica, di esergo del romanzo posto a testimoniare l’intransitabilità di un potere camorristico effettuale: “ancora una volta in modo materno ma senza lacrime”.

L’atto di esporre la necessità non è che un attraversamento di un impossibile. E misurarsi con questo delitto dell’impossibile, concerne in modo radicale, la questione della scrittura filmica. Che vi sia sintesi e narrazione asciutta è la condizione affinché l’impossibile non faccia coppia con la madre coraggio ma con la Penelope delinquente, una mamma stanca di “aspettare che la sorte faccia il suo corso” e la travolga, quindi pregna di “resistenza senza lacrime”, di azione senza desiderio condiviso, ma con una accettazione dell’egoismo cinico obbligato e domestico che verrà. Così il conflitto materno, nel mettere in causa la topologia dell’atto delinquente, non è lo spazio geometrico in cui delimitare una classificazione nosografica. In effetti, la struttura dello “sgarro delinquente” diviene articolabile da questo porre l’accento sulla funzione della freddezza, della gestione del cinismo e dei nervi saldi.

Che non vi sia performance aggressiva senza atto di intervento, sottolinea quanto Maria sia provveduta in relazione a quel che chiede: è questa la logica della madre? L’atto deliberato qui si scrive due volte nello stesso film. In una diade che traccia lo spazio della violenza e lo spazio delle passioni tristi materne. E l’obiettivo procede da questo spazio insormontabile. Quel che conta allora sono gli effetti del ruolo di Madre di una soddisfazione sociale impossibile. E ogni calcolo conduce ad un desiderio disatteso, eccentrico, inesemplare: una storia che si sottrae alla ragione della Madre e che attrae ogni costruzione del suo compimento. Creare insomma la soddisfazione, salvare i propri figli, separare la minorenne dalle voglie corrotte di Gennaro, con una sua presunta linearità o unità, non è difficile in cambio del “baratto erotico”. È nel raccontarla che essa diviene exemplum delle parole e delle immagini: per un desiderio che gioca ininterrottamente con una storia al limite della trasparenza. E da questo segreto trae consistenza il fantasma della Dark Lady, della madre spericolata. Uno spessore fatto di qualsiasi affronto. Pertanto senza misura. Una superficie fuori dalle lacrime, che non svia da niente perché già sviata. Il filo della pratica seduttiva è collegato a quello della pratica aggressiva: ogni tratto, frammento, segmento, preso tra il segreto e la recitazione, apre all’altro segreto. Nel gioco del confidenziale; il reale da realizzare – per Maria – si trova nei garbugli del vero. Accorgersi che nell’ascolto del sentimento materno non ci sono accorgimenti e che saperci fare non basta, non tocca forse per una aggressione bizzarra l’istanza dell’azione violenta? L’ancora una volta di cui parla Piscicelli non arriva al sempre. Enuncia invece l’enigma del metodo: è la differenza della madre qui a far senso, a tessere in modo sorprendente il destino di Gennaro. Non si tratta, dunque, a proposito di questa locuzione, di una tautologia della vendetta necessaria né tanto meno di uno scrupolo acquisito. Lungo il percorso del segreto, nel lavoro di trasposizione della liberazione economica dei figli e della casa, c’è allora un rigore dell’ancora una volta. Il suo singhiozzo giunge a una combinatoria matematica: la sua struttura è quella del motto “mors tua vita mea”.

È la struttura del motto a rendere conto del fatto che la differenza tra una volta e tutte le volte indica non la Dark Lady che manca al cinema per giungere alla vita, ma un passo oltre il cinema (teatro della vita).

Daniele Russo, Luisa Ranieri e Marcella Spina

2.C’è di nuovo un gran parlare di famiglia. Ad essa fa riferimento in modo quasi ossessivo il pontefice; ma ne discutono anche esponenti dei partiti laici, membri delle commissioni governative, i ricercatori dei centri studi, lo psicologo di turno che si rivolge alle nuove madri coraggio. Ne hanno parlato anche i movimenti di counseling: le trattative tra governi, imprenditori e confederazioni su costo del lavoro, riforma fiscale, occupazione, contratti, hanno anche la famiglia, o meglio il suo reddito, tra i punti all’ordine del giorno. Si parla di famiglie per parlare di donne, ma si insiste sulla famiglia per non parlare di crisi della Madre. Esponenti del liberalismo più o meno ortodosso propongono leggi per istituire forme di salario al lavoro domestico. Mai era stato così universalmente riconosciuto come lavoro conveniente, utile, produttivo, indispensabile al benessere del paese. Mai sentiti tanti impegni di monetizzazione che rimangono promesse, tedii di sinistra tra le rivendicazioni più vicine al differenzialismo di genere e quello dell’utopia dell’uguaglianza e del dialogo tra i salariati. Bisogna ammetterlo, anche fra le donne che oggi frequentano i movimenti LGBT+ e che un tempo gridavano: “Siamo stufe di essere madri, mogli, figlie/distruggiamo le famiglie”, la famiglia è stata sociologicamente frammentata come luogo di affetti e di segreti, oltre che di oppressione. L’effetto Maria nelle nostre società è un rapporto particolare con il potere e insieme con i suoi sistemi di corruzione, o anche con i suoi sistemi di ricatto e di disorganizzazione. Questo rapporto particolare consiste nel non possederli, ma nell’essere una specie di supporto muto, un retroscena laborioso, una sorta di intermediario che non si svela. Lo si sente nei ritmi, nelle intonazioni del conflitto e nelle scelte algide di Maria; ma anche nei procedimenti che vogliono significare meno un oggetto che delle possibilità di salvezza, nelle pratiche cosiddette politiche.

Ad un mondo pieno non di segreti, ma di effetti enigmatici ci introduce la vita della Capasso, che porta come sovra-significato l’incomunicabilità di un segreto. Qui l’attività del cinema è prospettata non come la rivelazione di un segno, né come un’illuminazione, né come una chiarificazione, una Erklärung, bensì come un segreto inspiegabile. Il principio dell’enigma è la coincidenza di razionale ed irrazionale. La natura di Maria si può definire solo attraverso un ossimoro: essa è terribile serenità, possessione impartecipe alla delinquenza, moderazione delirante, sobria ebrietas enigmatica e assassina. Verso questa conclusione tende il paesaggio moderno sull’apollineo bisognoso e delinquente, il quale da più decenni ci interroga circa la natura di tale rappresentazione. Questa intuizione è, a ben vedere, già presente nel cinema di Piscicelli, il primo che ha legato strettamente la dimensione trans-apollinea con l’esperienza di una deviazione necessaria.

Posso segnalare, innanzitutto, l’aspetto sociale sotto il quale può presentarsi questo effetto Maria, in quanto il segreto della violenza è ciò che è: e nel sistema della delinquenza, ha il suo supporto acuto che lavora e eccede. È possibile trovare questo fenomeno nelle nuove società segrete; per esempio, “le Maria Capasso” (le Madri) sono in esse oggetto di scambi costitutivi del potere e della corruzione, indispensabili al suo esercizio, pur essendo assenti da tale rappresentazione. Oppure un’altro esempio: la subordinazione della Madre al nome ed all’autorità paterna nella delinquenza familistica patriarcale, anche se Maria è un supporto sostanziale e indispensabile a questo stesso familismo, ma non di primo piano. Siamo qui in una dialettica del mandante e del mandatario che attribuisce a questo effetto-Maria un ruolo dalla parte dell’animale da soma. In questa posizione, Maria può detenere una coscienza implicita della struttura e per conseguenza del potere sociale: l’esecutrice ne sa più del mandante. Di conseguenza l’effetto-Maria è talvolta la faccia apparentemente esecutiva e anche più fondamentale, non solo del potere camorristico, ma anche del potere di legittimazione della violenza: non c’è violenza che non si regga su un’obbedienza amorosa, vantaggiosa per entrambi i partner. Si può dire che questo effetto Maria può essere assunto da un etero ed è proprio ciò che l’etero maschilista dimostra, ciò che Salvatore Piscicelli vede alla base di tutti i gruppi di familismo, l’asylum, la segregazione coatta e la delinquenza organizzata. Il modo di sentire della donna bisognosa napoletana è definito dal regista come «cinismo indiretto». Ora vi è nella nozione di cinismo un riferimento alla natura e alla condizione animale di Maria (cinico da kúon, cane/cagna) che fa riflettere. Il sentire cui ci introduce Maria è orientato verso il concreto, l’azione, l’effettualità pratica: perciò è in antitesi col rigorismo mafioso cui rimprovera di essere la rappresentazione più assurda e più pericolosa che sia stata concepita, proprio per il suo orientamento impossibile, che nega all’affetto il diritto di recarsi là dove il bisogno chiama. Il «divenire cosa» della donna ha il suo punto di riferimento nel processo storico: farsi cosa è un produrre storia, segreta e palpabile. Aderire alle cose non vuol dire farsi sommergere da una pluralità indefinita di possibilità, un take all, un prendere tutto in modo indiscriminato, ma respingere le possibilità astratte in favore di quella sola che si può effettuare.

Marcella Spina in Vita segreta di Maria Capasso

3.Quando misurarsi con il regno del possibile diventa inevitabile, si spegne la tracotanza giornalistica insieme con l’ideologia del consenso! The Good Mothers, la nuova serie originale Disney+, presentata di recente alla Berlinale, parla di criminalità organizzata calabrese: racconta la ‘ndrangheta calabrese dal punto di vista delle donne. Mogli, madri che non imbracciano il fucile (come Scianel in Gomorra) o Alice Barone in Bang Bang Baby) e che non sono neppure abbastanza libere da poter, ogni tanto, alzare la voce (come Carmela, moglie non proprio silenziosa di Tony/James Gandolfini nella serie i I Soprano). Protagonista di The Good Mothers sono le donne vittima del sistema che, a un certo punto, alzano la testa. E lo fanno soprattutto per dare a figlie e figli un futuro diverso. La serie in 6 episodi è stata diretta a quattro mani dalla regista Elisa Amoruso e da Julian Jarrod (tra i registi della serie di The Crown) e distribuita in oltre 70 paesi. Il Roma Fiction Fest del 2015 aveva aperto con la presentazione del film per la tv Lea di Marco Tullio Giordana, dedicato ad una storia di ndrangheta, con protagonista Vanessa Scalera: Lea Garofalo, uccisa per mano del marito, eccellente malavitoso, bruciata e sbriciolata in una colata d’asfalto, a Milano nel 2009, rivive in un racconto per il piccolo schermo. Con una interpretazione trasparente, audace, fortemente materna, l’attrice offre al personaggio una femminilità combattiva, uno spirito sofferente ma di riscatto.

Anche se per altri, comunque, la risposta e il riscatto hanno poco a che vedere con l’affettività: la famiglia comune è “unità economica”, un insieme di persone che coabitano e provvedono al soddisfacimento dei propri bisogni, mettendo in comune il reddito! Ma questa rinnovata attenzione alle mura domestiche è un fenomeno europeo; esattamente come è europeo il crescere della disoccupazione femminile, il crescere della violenza sulle donne, il crescere delle madri rassegnate alla violenza e del farsi giustizia da sole, il mors tua vita mea di Maria Capasso, etc … Così il luogo per eccellenza del mistero napoletano non è la natura, ma la storia matrigna. Il suo mistero (nascosto in miseria e nobiltà) è inesauribile, perché nulla è mai definitivo ed identico a se stesso. La possibilità che ha ogni cosa di essere diversa da quella che è, fa sì che le cose del «regno umano di Napoli» siano tutte inquiete e si muovano, ma questo brulicare di possibilità non è un verminaio trasparente; al contrario consente l’esperienza della differenza di Maria, della illimitatezza e della imprevedibilità della storia. Noi non siamo i padroni del sapere storico, anzi restiamo nei suoi confronti in un rapporto di estraneità, persino per quanto concerne la nostra esistenza: la «speranza da cui proveniamo» (scrisse il giovane filosofo Antonio Sarno, morto a Napoli suicida nel febbraio del ‘32, e originale studioso di Giordano Bruno) «fu d’altri cuori, e quanto faremo fino alla morte, il senso di tutta la nostra vita, sarà il fugace ricordo o il problematico possesso d’anime estranee».

Perché Maria sottende continuamente il Mors tua vita mea? È un modo di dire di una donna comune, una donna timorosa che giunge a mettere in pratica la morte dell’altro come miglioramento della propria vita: ciò che per te è la rovina per me è la salvezza. La massima non rispecchia, invece, la voce del comportamento biologico dell’eroicità di Lea di M. T. Giordana, che è la presa della giustizia. Forse sia nel racconto che nel film di Piscicelli – al contrario di Alcesti nella tragedia di Euripide – la Madre invece di immolarsi per la figlia, si immola da assassina per il “senso totale della famiglia”, ammazzando il suo ex-amante che aveva molestato la figlia. La Madre si sacrifica nel destino della Dark Lady, che rovescia il futuro della sua famiglia e del senso del dovere. Al giorno d’oggi, i comportamenti «mors tua et vita mea», pescano nel fondo della performance capassiana, nel suo più torbido segreto di madre, dell’individualismo (come meccanismo di difesa) di cui si è fatta pregna Maria. In fondo in fondo, questo suo doveroso adeguamento le fa desiderare che se aspira al suo piccolo pezzo di mondo, ad una vittoria del suo sano egoismo assassino, basterà costruire la dipartita del testimone corrotto per conquistare definitivamente l’amata serenità. Con un sistema di ripresa che dedica poco spazio alla città di Napoli, un sistema che si limita alle ambientazioni necessarie di panoramiche e zone periferiche e frammenti di quartiere, in Vita segreta …, Salvatore Piscicelli si smarca rispetto alla Lea di Giordana, esasperando il «segno della crudeltà algida». Maria è messa, dunque, davanti ad una scelta proprio come il conflitto bellico che non può guardare in faccia a nessuno, trasformando una Madre in una insospettabile killer, che per scelta e senza esitazione ammazza Gennaro «seppellendolo nel segreto di famiglia». Il film si conclude con la dichiarazione realistica di Maria Capasso: “Per il resto, dell’inchiesta sull’assissinio di Gennaro non ho saputo più niente, pace all’anima sua. Il lavoro procede bene, ho aperto un secondo negozio in centro a via dei Mille. Sono un’assassina sì, ma non sono pentita, se non avessi agito, saremmo sprofondati nella miseria e nella disperazione. Il mondo è quello che è: ci sono i poveracci la stragrande maggioranza e poi ci sono i ricchi, i potenti che si ingrassano sulla loro miseria, che si mangiano tutta la torta alla faccia degli altri. Io sono riuscita a ritagliarmi la mia piccola fetta e guai a chi me la tocca”.

Piscicelli è passato alla regia nel 1980 con Immacolata e Concetta (interpretati dalla Di Benedetto e dalla Michelangeli), nell’81 ci darà Le occasioni di rosa (con Marina Suma: prostituzione come sopravvivenza), nell’85 Blues metropolitano (accompagnato dalle musiche di Joe Amoruso area: Pino Daniele) e due anni dopo Regina (1987: storia di un’attrice fallita e di un attore di fotoromanzi), Baby gang (1992: interpretato da attori non professionisti, così come il teatro di Marigliano di Lea e Perla avevano introdotto nella zona vesuviana, da cui Piscicelli proviene, attori come Sebastiano Devastato e Nunzio Spiezia) che parla di Luca, 9 anni, il quale nel tempo di un giorno deve procurarsi una dose per il fratello tossicodipendente. Poi Il Corpo dell’Anima (1999: sceneggiatore decadente e vouyerista); Quartetto (2001: quattro attrici messe in scena secondo le regole di Dogma 95 (riferito a Lars von Trier) praticano sesso, droga e disfacimento) e Alla fine della notte (con la Di Benedetto e Fantastichini spostati sul versante autobiografico). Inoltre, Piscicelli ha pubblicato una raccolta di racconti: Baby Gang e i romanzi La neve di Napoli, Vita segreta… e Il Corpo dell’anima. “Il conflitto è padre di tutte le cose, di tutte è re”, diceva Eraclito. Difficile dargli torto. Veniamo al mondo venendo dal conflitto più antico (e narrato) dell’esistenza umana: il passaggio lungo il canale del parto che Bill Viola ha trasformato in una performance passeggera e oleografica. E siamo subito immersi nella lotta: per conquistare l’ossigeno vincendo le resistenze meccaniche (e naturali) dell’ambiente. Certo, tutto questo accade mentre qualcuno si prende cura di noi, mentre siamo toccati da un corpo materno. E in effetti Piscicelli si sente molto toccato da un corpo di donna (corpo di madre-natura-madre-terra), al punto che egli traduce il bisogno di resistenza nel bisogno nel corpo di Maria Capasso! Ma è altrettanto vero, come ci ricorda la figlia di Maria, che si nasce a se stessi dicendo per la prima volta di “no” alla propria madre. Lì, forse, celebriamo la nostra unicità di ogni corpo, anche se questo stesso corpo entra in contatto col male! Nessun corpo può essere protesi di un’altro corpo. Lo stesso vale per il “no” di ogni mamma, che fa rinascere il figlio o la figlia alla loro singolarità, difendendo la funzione di Maria e dell’Immacolata Concezione proletaria, la prova del 9 della madre fedifraga ma estetista, lavoratrice e risoluta! Perché la liberazione da Gennaro non è uno stop all’amore, al legame familiare, ma uno step necessario per il ritorno al “segreto tranquillo”. Il segreto nasce come soddisfazione sostitutiva e lotta contro un’offesa, e Salvatore di violenza ne ha ben filmata nel suo percorso lungo “le vite di donne del sud”.

About The Author

Roberto Sala

Art director della rivista Segno insegna Grafica editoriale all'Accademia di Belle Arti di Brera