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Domenico Bianchi | Integrazioni, trasparenze, intrecci

Integrazioni, trasparenze, intrecci, trapassi. Tutti termini che possono aiutarci a capire opere complesse come quelle presentate da Domenico Bianchi alla Cappella dell’incoronazione del Museo Riso di Palermo, in collaborazione con la Galleria Adalberto Catanzaro di Bagheria. Opere, queste, che in realtà vanno osservate come una entità unica, un ambiente: un’opera site specific creata appositamente per quel particolare luogo che è la Cappella dell’incoronazione. Un luogo molto suggestivo ed estremamente caratteristico – nel senso di “pieno di carattere” – e intenso, opposto alla superficie piana, primaria, del white cube. Se lo spazio del white cube è uno spazio primario, un “grado zero” disposto ad accogliere qualsiasi possibilità, nel quale tutti i segni e tutte le opere sono possibili, quello della Cappella è invece uno spazio pieno, nel quale tanti, molti, segni sono stati presenti, nella sua storia, nei passaggi temporali umani e corporei che lo hanno determinato.

E proprio a questi segni dobbiamo guardare quando ci immergiamo nell’ambiente creato da Bianchi. Un ambiente leggero, puro, instabile nella sua leggerezza. Il bianco, come possibilità del segno, è qui rappresentato non dal luogo ma dai di-segni, meticolosamente riempiti con penna bic, e dalle opere in cera. La leggerezza, emanata anche dall’instabilità delle calamite che reggono i disegni, aiuta il processo di trapasso storico e il rapporto temporale aperto fra il luogo della Cappella dell’incoronazione e l’opera dell’artista.

La mostra di Bianchi, dunque, si inserisce proprio in questo gioco di trapassi: un ambiente che ci avvolge in una stratificazione temporale, nel quale differenti tempi convivono, si integrano, si intrecciano e trapassano. Nel momento in cui si accede nella sala, il bianco dell’opera ci fa entrare immediatamente in contatto con la forte presenza medievale e precedentemente araba della Cappella, ci fa immediatamente percepire l’ambiguità aperta dallo straniamento temporale, dalle sinergie attivate dallo stretto rapporto che si crea fra luogo, opera e spettatore.

L’arte di Bianchi, d’altronde, è già un magistrale esempio di stratificazione. Tecnica, dall’uso del computer alla cera; operativa, le modalità differenti con le quali crea le opere; e, se vogliamo, filosofica, il segno che caratterizza le sue opere: possibilità di creazione, musicalità e ritmo dell’azione artistica.

Equilibri armonici tra opera e ambiente, dunque, come afferma Demetrio Paparoni nel testo del catalogo di prossima pubblicazione: «Privata di stabilità e armonia l’opera si svuoterebbe di significato, perderebbe la sua ragion d’essere. Senza un’idea guida, del resto, l’arte diviene decorativa, così come l’esistenza diviene vegetativa. Comprendere che il lavoro di Bianchi incarna questi concetti è fondamentale per coglierne la valenza etica».

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