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James Lee Byars

Il suo lavoro è una costante evocazione di un Altro Mondo, che non è un concetto religioso od un postulato metafisico; esso sorge, invece, da un credo nel potere dell’immaginazione che lo costituisce.

(Thomas Mc Evilley)

La citazione è riferita a James Lee Byars, l’artista statunitense (Detroit 1932) invitato in Italia per una mostra monografica dedicatagli dal Museo di Rivoli (The Palace of Good Luck, fino all’11 giugno 1989) e per una mostra “personalissima ” allestita presso la Galleria Cleto Polcina di Roma (Monument to Cleopatra, fino al 25 maggio 1989). Circa 45 opere a Rivoli, la cui collocazione realizza una vera e propria opera totale, un’unica installazione a Roma dispiegata in due sale interamente ricoperte di foglia d’oro, nelle quali sono disposte una scultura di forma geometrica (un parallelepipedo, la cui materia costitutiva, il marmo di Filippi, è celata da una patina d’oro) ed una tavola della stessa lunghezza e altezza, sempre d’oro, incollata ad una parete.

Il termine “monumento”, nel suo valore etimologico latino “monumentum”, da moneo, ricordo, serve a designare un oggetto che tramandi la memoria di persone e di avvenimenti del passato. Ed è proprio l’idea di affermare e tramandare, attraverso segni appariscenti e durevoli, un evento o la memoria di esso che sottende il lavoro dell’artista. Ha affermato infatti Byars in una recente intervista: “Volevo raggiungere una forma che suggerisse la figura umana, ma che fosse molto chiusa su se stessa, conservando la sua purezza”. La pietra, strappata al buio ed al silenzio, giace custodita da un vetro, che la offre alla luce ed agli sguardi come uno “xoana” (scultura di legno, pietra o metallo, che suggerisce la figura umana), che gli antichi ritenevano opera di mano divina, caduta dal cielo o portata da qualche eroe. L’opera si offre perfetta e definitiva nella sua ricchezza, protetta e sottratta ad ogni corruzione dal materiale puro per eccellenza, generatore di luce, risultato di magiche alchimie. La peculiarietà delle forme regolari e di colori primari caratterizzano dunque l’esigenza di un approccio alle problematiche dell’essenza pura dell’essere e del sapere. Byars ama il mistero e la forza evocativa dell’immaginario, la materia e la sua essenza, come ebbe a scrivere Virginia Baradel nel testo in catalogo Villa Domenica con undici artisti, “le manifestazioni dell’avanzare immune del suo pensiero oscillano da una intatta innocenza ad una sofisticata intenzionalità filosofica”

La copertina, dedicata a James Lee Byars, del numero doppio 84 – 85 della rivista Segno del 1989

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Roberto Sala

Art director della rivista Segno insegna Grafica editoriale all'Accademia di Belle Arti di Brera