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Michele Giangrande e le sue memorie dal sottosuolo

L’indagine che Michele Giangrande compie con la mostra Bunker (a cura di Alexander Larrarte, promossa dalla CoArt Gallery, con il patrocinio del Comune di Corato, contributi critici di Giusy Caroppo e Roberto Lacarbonara, allestimento di Angela Varvara e le musiche di Stefano Ottomano) è un’acuta memoria dal sottosuolo, un’ipotesi sulla sopravvivenza che riconfigura la Storia e la presenta non quale documento ma come reminiscenza, ovvero come atto rammemorativo il quale, appunto perché giocato sulla variabilità del trauma e del rimosso, comunica per assenza trasfigurando il ricordo.

La materia creativa è impalpabile, formata in prevalenza di vuoti e sensazioni, e nel suo continuo riconfigurarsi fa emergere la variabilità di tutto ciò che appare. Ogni cosa è mutevole e mobile negli ipogei del centro storico di Corato che divengono scena e galleria: tanto la consistenza materica degli oggetti (i calchi in cemento delle scarpe, la doratura delle bombe) quanto l’immagine della comunicazione (le scritte, le lapidi, i libri schiacciati dalle putrelle). È il passato che ritorna risemantizzato, digerito e violato, per scoprire le trame e le aporie del passato in un bizzarro scambio di punti di vista che rende il pubblico protagonista di un racconto complesso. L’interno della città diviene interno della Storia, del celato, dell’inconscio collettivo che rigurgita fantasmi (le figure di sfollati durante la performance inaugurale), sempre pronto a riscrivere l’accaduto come farsa o come tragedia. L’azione di Giangrande è civile, un elogio della salvezza che non cede al pittoresco o al prosaico ma che tenta, attraverso esplosioni poetiche e positivi shock visivi, di riconfigurare il non-sense. Così, dopo le violenze della guerra, fa il suo ingresso il rumore, un falso sussulto che consuma la percezione, confonde i visitatori, accende le coscienze spente. Chi avrebbe mai immaginato che la cantina di un calmo paese della provincia pugliese potesse nascondere un’anima tanto inquieta e luttuosa? Il rimorso ricicla i ruderi del tempo, apre una dimensione parallela del possibile che vira verso il tentativo di ricucire gli strappi del tempo mostrandone le contraddizioni e gli orrori i quali, solo riconfigurati e visti in controluce, riescono ad essere accettati.

La variabilità (e relatività) del tempo (storico) determina l‘instabilità e la mutevolezza delle opere perennemente in contraddizione. Vi è pertanto questo sottile scontro tra l’apparenza degli oggetti e la loro muta instabilità: la bandiera italiana che perde i colori sfumando nel bianco, i contraddittori titoli dell’Unità, la calma dell’epigrafe contro l’angoscia dello spazio, il letto con una doppia direzione e doppi cuscini. Se ogni oggetto è anche segno mobile, la crisi della Storia indagata dall’artista è anche crisi del linguaggio che si può vincere solo rendendo il tempo uno spazio “estetico”. Il frantumarsi e l’indebolirsi del concetto di verità, non più legata a fondamenti documentari ed antropologici, e non più in contatto quindi con l’humus comune simbolico, determina che il Bunker di Giangrande divenga oggetto di consumo in quanto rimesso perpetuamente in mostra, nella dimensione liquida della propria celata (in)dimostrabilità. Se è il monumento il reale punto dolente del malessere contemporaneo verso il proprio passato l’artista, nel sottosuolo di Corato, non lavora sulla memoria ma sulla sua rappresentazione.

L’intero progetto è stato documentato da un film/documentario diretto da Alessandro Piva.

BUNKER, Michele Giangrande

a cura di: Alexander Larrarte

contributi critici di: Giusy Caroppo e Roberto Lacarbonara

documentazione fotografica di: Marino Colucci

Fino all 3 giugno 2018

ente organizzatore: CoArt Gallery

patrocinio: Patrocinio del Comune di CoratoCo Art Gallery
Via della Pergola 11, 70033 Corato (BA)

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