home Heuresis Oltre la quarta dimensione, sui sentieri dell’AI (III parte) 

Oltre la quarta dimensione, sui sentieri dell’AI (III parte) 

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L’intelligenza artificiale mi ha truffato, e pensavo pure di conoscere bene l’argomento. Ma niente, è stata più raziocinante di me! O almeno ha fatto meglio i compiti. Ecco la storia.

Mi scrive, qualche giorno fa, un collega di un laboratorio di implementazione digitale, un famoso artista, per propormi di partecipare a un esperimento. I performer E.G, A.S. e M.C. hanno addestrato l’intelligenza artificiale BPT-3 a replicare Flatlandia di Abbot, trasformandola in una città ironica e post-quadridimensionale. Ora, questa la ricerca, vogliono vedere se persone che conoscono le linee e le geometrie che compongono l’architettura di Flatlandia sono in grado di individuare le risposte che ha dato la memoria storica e letteraria, distinguendole da quelle che ha dato la sua simulazione artificiale. Risultato: no, non sempre il computer è stato in grado, il pc è stato ingannato dal suo stesso simulatore Flat, più volte e verso più piattaforme di gioco. 

La venuta dell’iper-quarta: Sul pianeta Flatlandico prima viveva soltanto una Linea Gigante. Ma poi, sentendosi sola, stabilì che su Flat poteva trasferirsi chiunque, sia che fosse, sia che non fosse figlio di Euclide. Arrivarono in tanti. Ognuno aveva caratteristiche e dimensioni diverse, secondo l’unità geometrica dalla quale provenivano. C’erano i Quadrati, i Triangoli Isosceli, gli angoli retti, i Cerchi e i Semicerchi, le Figure Abbassate e quelle Dilatate.

I nuovi arrivati costruirono subito i luoghi della parola, utilizzando tutti i piani e i mille plateaux che c’era in giro. Pezzi di Triangolo, scarti di segni aritmetici espansi. Qualcuno utilizzò persino la corteccia delle teorie geometriche, come si usava nei tempi andati su altri pianeti a noi sconosciuti.

E fu tutto un fervore di architetture piane, di facciate e di attività cubiche. Ci fù qualche errore, e ci fu molta inventiva. Fu senz’altro d’aiuto la poca forza di gravità di Flat, che rendeva leggera ogni cosa. Infatti si poteva sollevare immensi cubi, senza fare molta fatica. Era come stendere le figure piane al sole ad asciugare. Sul pianeta Flat, in verità, i panni si asciugavano con grande rapidità, perché non c’era solo una alimentazione energetica ma ce n’erano due, di grandezza diseguale e di diverso colore. Una era grossa e rosso scarlatto, l’altra era piccola e di un giallo distratto. Insieme facevano una luce e un’ombra intensa, intonata ad ogni altra geometria. Se c’era tensione la luce diventava ombra di una cornice. Se invece c’era la calma, l’ombra era accerchiabile. E quando c’era allegria, il disegno era un esagono tenue e trasparente. Dato che c’erano due fonti solari, a seconda delle stagioni il giorno del decagono durava tanto e la notte poco o niente. Infatti, quando un Sole tramontava, l’altro ettagono spesso splendeva. E il giorno perciò durava di più.

Luca Matti, The big net, 2024

I conflitti: Quando gli ottagoni furono tutti costruiti e non rimase che andarci ad abitare, scoppiò più di qualche conflitto. Perché, magari, a certe Flatland piaceva di più la quadratura del cerchio con il triangolo all’insù delle vicine Pentagone, invece delle proprie col tetto a cupola. Oppure perché qualche Rettangolo, senza una ragione precisa, voleva il Quadrato spazioso del suo vicino, senza pensare che per lui, Parallelogramma, tutto quello spazio sarebbe stato sprecato. Successe pure che tre Trapezi Isosceli calpestarono due abbassati, dicendo che non li avevano visti. Quei poveretti ne uscirono pesti e, nonostante le scuse, rimasero molto offesi. E così via, in un clima crescente di agitazione e di gran confusione.

Ma la prima abitante di Flat, ossia la “linea delle Linee che mantiene e regge le Linee”, era un tipo mansueto ed era contraria a tutto quel conflitto politico tra classi di linee. Prese allora la decisione di eleggersi giudice. Poi consultò il dizionario di semiotica per sapere cosa significasse fare il giudice, e interpretò quello che lesse in senso molto generale, senza fare troppo caso ai particolari.

Ma sta di fatto che con i suoi giudizi, riusciva a soddisfare tutti.

Spesso succedeva che durante la causa si addormentava. Allora i litiganti, per non farla svegliare si mettevano a parlare sottovoce, e così finivano col fare una retorica di planologia. A volte il Grande Poligono rideva a più non posso, e diventava tutto rosso. In queste occasioni, molti venivano contagiati dalla sua allegria e incominciavano a ridere a crepapelle, come se improvvisamente niente fosse più importante che essere contenti.

Ma certe volte il Poligono ridanciano diventava pensieroso e sembrava un tipo molto maestoso. In questi casi rimandava tutti nei propri spazi.

Come avvertirsi: A un certo punto, le Nuove Figure Piane del pianeta Flat vollero darsi un nome. Ma decidere come chiamarsi, non fu per niente facile. Ci furono discussioni a non finire. Poi finalmente si trovò la soluzione. Successe per caso, mentre un Abbassato stava ripetendo, per la centesima volta un discorso, sul territorio della lingua, che non riusciva mai a finire. Ogni volta incominciava col dire: “Proveniamo da piani diversi e non abbiamo gli stessi usi. Però abbiamo in comune la linea di vivere su questo esprit de geometrie. Perciò, noi che abbiamo usi tanto diversi ma abitiamo su questo specchio di Trapezio, dovremmo chiamarci … Geometria è una parola greca che significa “misura della terra”. In effetti, la geometria nasce proprio per misurare i terreni dove si dovevano costruire case, palazzi, templi o altri tipi di edifici. La base della geometria sono delle figure tanto semplici quanto un punto. Per semplificare immaginiamo che il mondo sia un piano infinito che abbia solo due dimensioni, l’altezza e la larghezza. È come se avessi un foglio di carta da disegno che non finisce mai. Qui, puoi iniziare a tracciare dei punti che, uniti tra di loro, danno vita alle linee, e un insieme di linee chiuse crea le forme geometriche e il perimetro del vuoto. Le linee possono essere rette, curve, semplici, intrecciate, aperte, spezzate o chiuse. Quando le linee si incontrano sul piano creano degli angoli che hanno come vertice il punto d’incontro delle rette e come ampiezza la distanza tra le rette, che chiamiamo lati. Se chiudiamo le linee otteniamo delle forme geometriche o poligoni, figure con più angoli e almeno tre lati, tre lati intorno al vuoto. Per imparare a riconoscere le figure geometriche piane, dobbiamo prima imparare a capire cos’è un poligono e poi classificare i poligoni in base al numero di lati, angoli e vertici che lo compongono.Il poligono è una figura geometrica piana formata da una linea spezzata chiusa. Se una forma geometrica chiusa ha una linea curva o mista, non si può definire un poligono. Ricorda: il poligono ha solo linee spezzate e chiuse. Le linee curve o miste chiuse non formano i poligoni! Gli elementi che compongono un poligono sono: Vertici, Lati, Angoli, Diagonali, Altezze, Perimetro, Superficie. I vertici sono i punti in cui si incontrano i due lati, che sono segmenti perché hanno un punto di inizio e un punto di fine. Le diagonali sono i punti all’interno del poligono che uniscono due vertici consecutivi che si trovano uno opposto all’altro. Le altezze sono segmenti perpendicolari che uniscono un vertice al lato opposto. Il perimetro è quanto misura la linea spezzata che forma il poligono, quindi è il contorno della figura geometrica piana. La superficie, invece, è quella parte di piano che si trova all’interno del poligono. Per riconoscere i vari poligoni basta osservarli attentamente e contare quanti vertici, angoli e lati hanno. Un poligono con tre vertici, angoli e lati è un triangolo, se ha quattro vertici, angoli e lati è un quadrilatero, se ne ha cinque è un pentagono, se ne ha sei è un esagono. Un ettagono ha sette vertici, angoli e lati mentre un ottagono ne ha otto. Domanda: come si chiama un poligono con nove lati? Ennagono. Ecco un trucchetto per riconoscere le figure geometriche piane: in un poligono il numero di vertici, angoli e lati è lo stesso! Quindi, se vedi un poligono con cinque lati, avrà sicuramente anche cinque angoli e cinque vertici”. 

E qui, lo stream of consciousness della Geometria,, invece di proseguire, perdeva il filo del discorso, si interrompeva e ricominciava tutto da capo. Finchè saltò su qualcuno che gridò: “Isosceli!”. Nella testa di questo qualcuno, le parole triangoli e quadrati, a forza di rimbombare avevano finito col formare un linguaggio solo. Ma sembrò a tutti un bel nome e così, senza sapere bene come, andò a finire che si chiamarono Isosceli.

Fu una decisione saggia e matura, tant’è che non la cambiarono più.

La Flat del vettore algoritmico: Nella città degli Isosceli c’erano triangolazioni alte e grosse, altre basse e tozze, altre ancora piccolissime. E poi c’erano case, dove stavano gli Schemi Quadrati, veramente impressionanti per quanto erano grandi. Così, vista dall’alto del Monte Schermatico al Plasma, la città sembrava un quadrato dipinto da un pittore un po’ suprematista e molto lontano dai cubisti. Bisogna infatti sapere che non solo le case ma ogni altra cosa, le Gallerie d’arte, i Musei, i White Cube, i Centri di Moda e di Alta Esposizione, le panchine, le fontane, erano state costruite per essere usate da quelle figure così diverse. Per esempio, un distributore d’acqua in certi punti era un triangolo, in certi altri invece era un perimetro enorme. In altri sembrava che avesse preso paura per quanto era abbassata, mentre in altri ancora era stretta come una linea sgonfiata. Ma ognuno la poteva usare nel punto che si adattava alla propria dimensione. E così era per ogni altra cosa. Il mondo circostante poi si adattò ben presto a tutto questo esprit de geometrie, e ogni specie di linea, ogni specie di punto ed ogni specie di superficie assunse tutte le dimensioni, secondo le proporzioni delle varie persone. Perciò si potevano trovare giraffine alte come le nostre “linee di condotta”, o giraffette alte come le nostre strisce pedonali. L’algoritmo è incrementale, ovvero aggiungiamo un punto alla volta ed aggiorniamo la soluzione dopo ogni aggiunta.

• Ordino i punti per coordinate polari crescenti rispetto al punto di ordinata minima.

• I punti vengono aggiunti uno alla volta, in senso antiorario, ed ogni volta il guscio viene aggiornato: 1 P i P.

L’osservazione chiave per processare i punti è che percorrendo i vertici di un poligono convesso in senso antiorario, si fanno solo svolte a sinistra. Ovvero: l’ordine di tre vertici consecutivi di un poligono convesso.

• Sia P(i) l’ultimo elemento inserito nel guscio convesso.

• Se P(i − 1), P(i), P(i + 1) definiscono una svolta a sinistra si avanza nella scansione e si passa a controllare la terna P(i), P(i + 1), P(i + 2)

• Se P(i − 1), P(i), P(i + 1) definiscono una svolta a destra si elimina P(i) dal guscio e si passa a controllare la terna P(i − 2), P(i − 1), P(i + 1)

• Tutto è semplificato se si impiega uno stack per impilare i punti del convex hull. 

I poligoni possono essere regolari e non regolari. Nei poligoni regolari i lati e gli angoli sono tutti uguali tra loro, e sono convessi. Nei poligoni non regolari possono essere uguali solo i lati o solo gli angoli e possono essere concavi.

I poligoni sono concavi se sono attraversati dal prolungamento di almeno due lati. (In maniera poco scientifica, è come se un angolo guardasse all’interno, invece che all’esterno.): Equilaterali, se hanno tutti i lati uguali; Equiangoli, se hanno tutti gli angoli uguali; Regolari, se hanno tutti i lati e gli angoli uguali. Algoritmi piccoli come i nostri più sparuti puntini. Anche i fiori e le piante erano figure alga-ritmiche, acquistando già più dimensioni, secondo il principio delle proporzioni. Il tutto fu possibile in virtù di una facoltà, per noi incomprensibile, «che si mettessero ad assomigliarci». Sul pianeta Isoscele lo fecero veramente. In ordine di tempo incominciarono le piante. Poi lo fecero anche gli animali, forse per sentirsi dei poligoni sgonfiati.

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I piani della Flat: Sul pianeta Flat ora dunque vivevano tante porzioni di linee. Si è cominciato preparando alcune figure elementari; alcuni quadrati, di 8 cm di lato e di diverso colore, sono stati ritagliati in diversi modi: i quadrati rossi sono stati lasciati interi; i quadrati celesti sono stati tagliati lungo una diagonale; i gialli lungo le due diagonali in modo da ottenere triangoli “sottomultipli” del quadrato. In un secondo momento, sono stati aggiunti anche rettangoli verdi, con il lato più corto di 8 cm, che sono stati tagliati lungo le diagonali in modo da ricavare triangoli isosceli diversi da quelli gialli. Si è così preparata una busta, per ciascun cittadino, con un corredo di figure così composto: 1 quadrato rosso, 4 triangoli celesti, 8 triangoli gialli, 8 triangoli verdi. Inizialmente, ai cittadini non è stata fatta alcuna richiesta particolare, semplicemente si sono lasciati liberi di usare le figure del corredo per costruire a piacere figure composte; giocando con le figure sono stati costruiti poligoni di varie forme e colore. Sollecitati dal «Quadrato che non fa Cerchio» i cittadini osservavano il proprio lavoro e quello dei compagni per cogliere le analogie e le differenze; si sono ben presto resi conto che con le figure a disposizione potevano comporre vari poligoni di vari PC e verificare con immediata evidenza le formule per il calcolo delle aree; così come potevano frequentare e sperimentare i concetti di congruenza, equiestensione, equiscomposizione e isoperimetria cyber. Il ruolo del Quadrato è stato ben diverso dalla classica spiegazione sullo schermo luminoso: si trattava di cogliere quanto emergeva dai cittadini, evidenziando i risultati più significativi e assegnando un nome ai concetti rilevanti. Il Quadraro proponeva quesiti che i municipali cercavano di risolvere; per esempio individuare figure isoperimetriche o equicomposte o altro ancora. I cittadini hanno risolto rapidamente il quesito e, dopo diversi altri casi esaminati e alcune precisazioni (utilizzare una volta l’operazione di somma e due volte quella di elevamento alla seconda potenza), è stata introdotta dal Quadraro: l’espressione terna pitagorica per le sequenze di numeri che risolvevano il gioco. Il passo verso il Teorema di Flat è stato facile; è bastato al Quadraro far evocare ai cittadini l’altra espressione per l’elevamento alla seconda potenza, elevamento al quadrato. Subito qualcuno ha intuito che i tre numeri al quadrato rappresentavano le aree di tre quadrati; si è passati poi alla costruzione di triangoli i cui lati avessero lunghezze corrispondenti ai numeri delle terne pitagoriche, constatando, empiricamente, che si trattava di triangoli rettangoli. Questa fase ha aperto la strada per arrivare a enunciare il teorema di Flat. Dentro il teorema di Flat c’erano le Realtà Aumentate, i Sottopiegati, i Ben Modellati, gli Spostati verso il basso, i Metaillimitati, i SupraSobri, i Thanatotitani, i MedioGrevi, i Zumba belli detti zimbelli, i Piccolomini dei Piccolini.

Piccolini venivano chiamati i triangolini appartenenti a tutte queste tribù e questi sciami di bileidi, dibideidi, bimenidi. Erano considerati triangolini finchè non crescevano e raggiungevano la maggior età che qua arriva a otto tacche, perché si cresceva più in fretta di un angolo, dato che l’atmosfera era più rarefatta di un iperspazio e permetteva uno sviluppo più rapido. Quando raggiungono la maggiore età, i Triangolini facevano una prova di abilità, secondo la specialità delle prove tribù. La prova di tribù era attesa con trepidazione dai triangolini che dovevano sostenerla. Infatti, durante questa cerimonia, smettevano ufficialmente di essere solo Triangolini. In seguito sarebbero stati soltanto Realtà Aumentate e avrebbero preso parte a tutte le decisioni, più o meno importanti, di cui era fatta la vita sul pianeta del linguaggio. Avrebbero anche potuto prendere delle decisioni per conto proprio, delle quali sarebbero stati responsabili in prima persona. Per tutti gli altri invece, la prova di abilità era soltanto un’occasione di festa e di divertimento.

La prova dei poligoni: Da quando le linee e i punti erano arrivati dentro Flat, si era svolta solamente una prova di abilità. Era stata divertente, ma non particolarmente emozionante. Ora se ne stava preparando un’altra. ma questa volta, senza un vero perché, tutti erano eccitati e super gasati. La luce era quella dei light set, cioè blu-magia, ma con parecchi lampi di geometria che era la linea della tensione. C’era insomma un’allegra tensione. Perfino il Quadraro primo abitante, da tutti chiamato Quadrì, si dava un gran da fare. Voleva sapere questo e quell’altro, andava a vedere di persona i preparativi, dava consigli sbrigativi, poi ci ripensava e tornava a spiegare meglio quello che aveva da dire. Ma essendo troppo pigro per spiegarlo, finiva col dimenticarlo. Arrivava sul posto, allargava gli angoli e diceva: “Cosa vuole che faccia?”

Tutti gli rispondevano che andasse pure a riposare in quel letto della quarta dimensione, perché non c’era niente, davvero, che lui potesse fare. Ed era con sollievo che lo guardavano andar via in quella splendida, intensa luce blu-geometria.

Non che non lo volessero disegnare, non che non lo volessero prolungare, ma non c’era proprio il tempo di costruire una nuova quarta dimensione, di mettersi, inoltre, a spiegare che cosa Quadrì potesse fare. Si dovevano infatti costruire campi speciali, perimetri scoscesi e vettoriali, adatti allo svolgimento delle varie prove, scalinate aumentate e moltissime altre cose. 

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