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Pino Pinelli, uscire dal quadro

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Pino Pinelli, lascia la sua arte. Così questa mattina è arrivata la notizia. 

La sua famiglia, comunicando la data del funerale, ricorda il Maestro con la seguente citazione:

“Ho ‘giocato’ la mia vita, correndo dei rischi, cercando instancabilmente e continuamente di cogliere il mistero della luce che è l’elemento principe della pittura. […] L’arte è seduzione e fascinazione. È invito alla dimensione estetica dello sguardo e alla vertigine tattile del senso. […] I miei frammenti sono corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio, che fluttuano in formazioni piccole e grandi e recano segni di una plasticità ansiosa e di una felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose”.

Pino Pinelli è stato un grande artista e un grande uomo allo stesso tempo. Raffinatissimo intellettuale, padrone al massimo di ogni fase teorica e fisica della sua creazione, elegante nei modi e nel vestire e profondamente aperto verso i giovani. Amava il rosso, lo vestiva di sovente e ne fece il suo colore simbolo. Nacque così il “rosso Pinelli” che dona alle sue disseminazioni un’inesauribile energia espansiva.

Nel 1850, Millet dipinse il “Seminatore” esposto al Salon durante quello stesso anno. La tela è dominata dall’imponente figura di un contadino intento a seminare un campo di grano, con un gesto largo e solenne, alla debole luce del tramonto. Quel gesto divenne eterno e Pino Pinelli nelle sue disseminazioni ci mostra i frutti di quel gesto dall’incontenibile forza germinatrice. 

L’amicizia che lo lega alla mia famiglia risale al 2012. Nel 2023, grazie alla disponibilità del Maestro e di sua figlia Alessandra, Pino Pinelli, entra nel mio primo progetto indipendente: la piattaforma “Art Identity”, volta a divulgare l’identità umana e creativa dei più importanti artisti viventi. Sarà quindi Pino Pinelli in persona a ricordare di sé stesso. 

Quali sono i fondamenti della tua ricerca (Art Identity)? Punto, linea e prospettiva. L’arte non ha limiti, il limite dell’arte è l’arte stessa e non deve mai assomigliare a sé stessa. Non si deve percepire da dove viene, qual’è il percorso intimo che ha compiuto ma solo la percezione intellettuale che vi sta dietro. Guai se l’arte ricorda un’altra opera! Se succede significa che l’occhio non ha aiutato e ci ha portato a fare quello che in arte non va mai fatto: imitare un altro artista. Quest’ultima è cosa che si lascia fare ai copisti.

Quali sono gli artisti che ti hanno fatto da linea guida nella tua ricerca? La linea guida da ragazzo studente mi è stata data da Dino Caruso che era stato a sua volta allievo di Enrico Prampolini a Roma. Caruso, di origini siciliane, era andato a studiare a Roma e al suo ritorno in Sicilia divenne il mio professore di plastica. Con lui nacque un bellissimo legame affettivo e di stima. Ero il suo allievo prediletto e questo mi ha portato a capire sempre più me stesso. Ma fu mio padre il mio primo sostenitore, diceva sempre: “Mio figlio andrà dove deve andare”.

Definisciti come essere umano utilizzando tre aggettivi. Non c’è risposta più vera di quella data da Papa Benedetto XVI che io rivisito in senso artistico: “Sono cosciente di essere un umile servo della vigna dell’arte”.

Secondo la tua visione dove sta andando e dove vorresti che andasse, l’arte contemporanea? L’arte contemporanea sta andando un po’ alla deriva. La colpa, se pur involontaria del sistema dell’arte, è quella di aver allargato talmente tanto i confini da far sì che tutti coloro che si apprestano a ragionare d’arte, pensino di poter praticare questo lavoro. Essere artisti è una condizione che deve appartenere a una storia, a un passato ricco di sensi che portano l’individuo alla necessità stessa di essere creatore. Un bisogno profondo di arrivare allo spirito. Io credo che l’arte adesso abbia aperto troppo, anche per una questione naturale di numeri: gli allievi delle Accademie, quelli delle scuole d’arte e tutti i vari aspiranti artisti. Siamo pieni di gente che freme per fare questo lavoro terribilmente difficile e a tratti anche frustrante. Non è un lavoro per tutti. Non si scopre quasi mai se è davvero fatto per noi o no, lo si scopre forse un giorno tramite il riconoscimento della storia dell’arte e a quel punto si è pronti per il “grande volo”! Una delle cose peggiori di questo mondo è quando un grande artista viene riconosciuto dopo 30-40-50 anni dalla sua morte o quando per arrivare alla fama decide di assoggettarsi alle leggi imposte dal mercato o dalla critica, privandosi del suo stesso linguaggio per puro interesse. Spero che ritorni un tipo di “coscienza” dove Marcel Duchamp viene riconosciuto. Mi spiego… egli si è macchiato in un certo senso di questo peccato involontario di definire “opera” un semplice orinatoio! Il suo passo è stato fondamentale ma purtroppo molta gente si è sentita in dovere di appropriarsi e rifare la sua stessa operazione artistica 100 anni dopo. Il peggio è che parte del pubblico non si accorge di queste prese in giro o ancor peggio, abbia interessi sul sostenerle.

È il caso di terminare questo breve ricordo con la citazione di Henry Ward Beecher che richiama perfettamente la natura dell’eredità che Pino Pinelli lascia alla storia dell’arte: “Ogni artista intinge il pennello nella propria anima, e dipinge la sua stessa natura nei suoi quadri”. 

Grazie Maestro.

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Roberto Sala

Art director della rivista Segno insegna Grafica editoriale all'Accademia di Belle Arti di Brera