home Recensioni Recursions and Mutations

Recursions and Mutations

L’idea era semplice. Uno spazio bianco, essenziale, ampio, ma allo stesso tempo complesso sull’isola della Giudecca. Un’intuizione brillante di Jacob Hashimoto. Quattro artisti apparentemente molto diversi, ma legati innanzitutto da stima e amicizia: Vincenzo Castella, Lynn Davis, Jacob Hashimoto, Roberto Pugliese. Le premesse per realizzare una mostra erano tutte presenti.

Ma ecco la sfida: Recursions and Mutations

Recursions and Mutations analizza come la ripetizione, il suo riscontro e il successivo atto di deviazione e/o mutazione, rispetto al percorso immaginato, possano essere un metodo e un significativo dispositivo analitico per scrutare e leggere la realtà che ci circonda. E, allo stesso tempo, tale modalità risulta essere anche uno straordinario strumento per la costruzione dell’opera nell’articolazione delle sue parti.

Interessante è il lavoro degli artisti che incorpora modalità e approcci ricorrenti, risalenti essenzialmente a tre fattori. Il primo è la scelta tematica del soggetto, sia dal punto di vista iconografico che concettuale, testimonianza dell’interesse e della continua sollecitazione dell’artista verso il medesimo campo d’indagine. Il secondo risale proprio alla dinamica pratica di realizzazione dell’opera, in cui, sì, sono messe in campo le proprie modalità note di operare ma è la fase creativa, di carattere squisitamente esplorativo. Il terzo fattore è la variabile, legata invece alle questioni temporali, ambientali e spaziali, che possono rivelare condizioni tecniche simili, o, al contrario, evidenziare la modificazione di un singolo aspetto, pur rimanendo invariate le altre condizioni.

Da questa modalità squisitamente relazionale, la mostra è il risultato della interazione tra gli artisti coinvolti che, attraverso l’utilizzo del proprio medium, hanno trovato nel processo creativo una base comune su cui lavorare. Le opere sono state scelte o realizzate appositamente per l’occasione in stretto legame coi colleghi, basandosi su un approccio comune o sugli stimoli visivi provenienti dai lavori stessi, in una dinamica di coinvolgimento diretto. La mostra si è sviluppata cioè in forma di confronto, grazie al quale gli aspetti di negoziazione e dialogo hanno avuto la priorità sulle scelte poetiche degli artisti. In questo modo le opere sono così state messe nella condizione di parlarsi, poiché la loro relazione e la loro presenza negli spazi è l’esito di un processo partito da lontano.

Vincenzo Castella (Napoli, 1952). La serie di fotografie, realizzate nei giardini botanici e nei boschi della Finlandia, esalta la tendenza alla ricorsività dovuta alla scelta del medesimo soggetto immerso in luoghi fisicamente diversi. L’artista fa propria una metodologia attenta e ricorsiva nella registrazione attraverso lo scatto. Egli però capovolge la questione: costruisce delle immagini in cui lo spettatore è chiamato a ricercare e cogliere la mutazione. La natura possiede qui un ruolo centrale, sia essa effimera e costretta all’interno di una serra, o selvaggia e incontaminata come nei paesaggi scandinavi, mostra il suo divenire stesso.

Vincenzo Castella, #04 Zurigo – #09 Zurigo, 2018

Lynn Davis (Minneapolis, 1944). Gli scatti in bianco e nero nascono da un approfondito studio dei ghiacciai della Groenlandia, cominciato negli anni Ottanta e proseguito in quelli successivi. Le sue fotografie, scattate come se l’obiettivo della fotocamera dovesse immortalare la maestosità di un tempio antico, testimoniano la scelta poetica di ritrarre un medesimo soggetto in tempi differenti, a distanza di anni. Sono messe così in evidenza le mutazioni dell’ambiente dovute ai cambiamenti climatici. Si è modificato l’assetto dei ghiacciai ed è diminuito il loro volume imponente, mentre il loro scioglimento pare irreversibile. Tale opera genera immediatamente una serie di domande nell’osservatore: è realmente questo ciò che vogliamo? È davvero troppo tardi ? Cosa succederà? Le opere fotografiche di Lynn non sono semplici testimonianze, anzi rappresentano un ponte silenzioso tra il passato e il futuro della nostra anima sacra e soprattutto collettiva.

Lynn Davis, Icerberg XXXVII – Iceberg XXXVIII, Disko Bay, Greenland, 2016

I due artisti, Lynn e Vincenzo, utilizzano entrambi la pellicola fotografica, realizzano scatti di grande formato e usano lo stesso linguaggio visivo, ma in modo diverso. Lei fotografa monumenti; lui fotografa monumenti. Quelli di Lynn sono colti dall’esterno, sono ritratti, attimi catturati nell’esistenza di antichi giganti. Quelli di Vincenzo dall’interno. Istanti dimenticati nella temporalità, intersezioni, connessioni e angoli inconsueti di monumenti imponenti, tutti volti a mostrare le piccole decisioni umane che creano e sostengono edifici complessi. Lei rappresenta fenomeni naturali, così anche lui ma sotto forma di esemplari botanici. Lynn fotografa iceberg, da lontano e li ritrae come entità individuali quasi figure. Vincenzo fotografa primi piani di una natura circoscritta, spesso in spazi artificiosi. Entrambi si occupano delle mutazioni nei fenomeni naturali, senza mai fermarsi a mera documentazione scientifica. Vincenzo utilizza vecchi obbiettivi fotografici così da poter ottenere effetti ottici particolari: i risultati sono intimi, una messa a fuoco morbida conduce a uno straniamento dalla realtà. Al contrario il degrado della calotta glaciale nel tempo racconta solamente la morte di un ecosistema. L’opera di Lynn è bella, smorzata, cinetica. Sublime.

Jacob Hashimoto (Greeley, 1973). Le sue opere sono caratterizzate dalla ripetizione degli elementi visivi, quali le trame delle superfici e le forme degli elementi, ma anche dei materiali impiegati, quali il bambù e il sistema di sospensione realizzato con il filo. La sua arte è ricorsiva e mutante, utilizza spesso il linguaggio e le convenzioni dell’arte per parlare di arte. Sperimenta e ruba, configura e riconfigura, basandosi su esperienze pregresse. Questo sistema è legato alla sequenza e alla definizione dell’arte stessa. Il suo è un lavoro pittorico processuale e ibrido, in cui egli smembra e poi ricompone in forma tridimensionale l’immagine, grazie all’impiego di più piani visivi collocati parallelamente. Tale approccio rompe l’assunto della planarità della pittura e della prospettiva come modalità di rappresentazione della profondità dello spazio, spingendo l’osservatore a praticare una lettura dell’opera in una condizione di dinamismo del corpo.

Jacob Hashimoto, The Dark Isn’t the Thing to Worry About, 2017 – 2019

Roberto Pugliese (Napoli, 1982). È una scoperta. Il suo lavoro rivela un approccio artistico totalmente diverso nei confronti della tradizione della natura in arte. Lavora con sculture sonore, spesso collegate a internet, alla tecnologia satellitare, a strumenti di programmazione DIY, a motori, altoparlanti. Egli ha proposto Liquide emergenze future, costituita da una doppia dozzina di ampolle soffiate a mano, parzialmente riempite d’acqua, che pendono dal soffitto. In ognuno è immerso un altoparlante che viene attivato da un algoritmo collegato al rilevamento delle maree nella laguna di Venezia, reperito in tempo reale da internet, portando la cellula musicale ad una continua modificazione. L’installazione è una riflessione sulla tendenza tra realtà, società e ecosistema. Un’illustrazione inusuale della negazione collettiva e soggettiva della responsabilità personale. Il soundscape non permette una fredda lettura, interviene e irrompe in tutto l’ambiente. La sua opera diviene così la cornice attraverso cui si vivono le opere esposte.

Roberto Pugliese, Liquide emergenze future, 2019

Il fenomeno della ricorsività pretende l’impiego di un criterio, un algoritmo, soprattutto di un approccio, in maniera tale che i risultati da esso ottenuti contengano e manifestino sé stessi in forma riconoscibile. La mutazione risponde invece alla tendenza al cambiamento, alla variazione significativa ma non totale, capace cioè di rendere ancora percepibile la forma precedente da cui essa è originata.
Mai quanto oggi il nostro pianeta e la nostra società mutano in modo irreversibile così rapidamente. Eppure diamo questi cambiamenti per scontati, senza fermarci a indagare l’origine e le conseguenze, rendendoci conto troppo tardi degli effetti che ricadono inesorabilmente sulle nostre vite.

L’invito di Recursions and Mutations è proprio quello di fermarci a scrutare con occhio vigile ed a indagare con metodo i mutamenti, soprattutto i più impercettibili, che ci circondano. Fondamentale è poi l’importanza del dialogo e del confronto, che si rivela come modalità concettuale indispensabile per consentire di rispondere formalmente e poeticamente al divenire, al cambiamento inesausto cui siamo costretti a reagire.

Recursions and Mutations è presentata dalla galleria Studio la Città di Verona e curata da Hélène de Franchis. Si accompagna ad essa un volume, edito da Silvana Editoriale che si apre con un’introduzione di Jacob Hashimoto e prosegue con un testo di Daniele Capra.

Recursions and Mutations

GAD – Giudecca Art District
Isola della Giudecca, Venezia
Sestiere Dorsoduro, Fondamenta San Giacomo 211/B
Fino al 28 luglio 2019

About The Author