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Fabiano Del Papa

Rita Vitali Rosati

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Fabiano Del Papa

Fabiano Del Papa, Giornalista


Mi chiamo Fabiano Del Papa, classe 1942, marchigiano, giornalista professionale e scrittore misconosciuto ai più. Mi è stato proposto, da una gentile artista, di rispondere a qualche domandina su un tema tanto nebuloso quanto fascinoso: l’arte.

Che faccio? Almeno per qualche minuto d’orologio, l’amicale offerta mi ha costretto a riflettere. Cosa posso dire, come riuscire ad esternarmi adeguatamente, quali concetti sottolineare? Infatti, gli è che io non sono un addetto ai lavori, non vivo di arte, non ho studiato la storia dell’arte e non sono un artista. Oppure lo sono, ma senza avvedermene. Insomma, di materia artistica non mi sento affatto di essere un produttore. Forse potrei essere un modesto creatore in quanto, letterariamente parlando, ci sono state occasioni nelle quali anch’io ho “creato”, nel senso che ho tolto le briglie all’immaginazione e mi sono inventato qualcosina. Ma, da qui ad essere artisti…

Quindi, declinare o accettare l’invito della mia cara e frizzante amica?

Orbene, ho deciso. Risponderò a boccia libera e le mie estrinsecazioni verranno direttamente dal cuore, senza filtri. La schiettezza una volta era un valore, no?

Pronti per le domandine.

Che cos’è l’arte? Un lavoro, oppure un hobby?

Secondo me, quella solitaria, cupa, sofferta e non imposta, quella non commissionata dall’alto magari per l’ottenimento di consenso (e chi vuole intendere, intenda) va interpretata semplicemente come bisogno. Una sorta di insopprimibile necessità, direi quasi psico-somatica, un’esigenza estrema. Una sorta di “libido coeundi” (mi verrà perdonata questa espressione?). L’animo del vero artista è dolente, ansioso e si placa soltanto con la formazione dell’idea, con l’invenzione, appunto, con la creazione. Creazione che, sovente, trascende l’estetica e sfida il conformismo. Vale a dire: mera ribellione. E gli antichi greci? Anche loro, in fondo, sono stati artisti. Hanno inventato la filosofia. Forse la più formidabile delle arti.

Vissi d’arte o vissi d’amore?

D’amore. L’amore, ah, l’amore! “Quella sublime gioia sovra la quale ogni virtù si fonda” (Dante). L’amore viene prima di tutto. Fraterno, paterno, filiale, erotico, comunque sia, l’amore ha una forza strabiliante alla quale è impossibile sottrarsi. C’è gente che non conosce l’amore, che non ha mai avvertito la passione oppure che ignora in modo assoluto quel senso del trasporto disinteressato dell’animo verso un individuo (o una bestia). Io penso che tale categoria (dis)umana, della cui esistenza non si può dubitare, sia anche quella più distante da qualsiasi espressione artistica. Qualsiasi.

Si dice che sia un tipo strano: hai mai incontrato o conosciuto un’artista?

(Domanda evasa per problemi tecnici)

Si dice anche che sia un narcisista estremo. O un caratteriale disturbato?

Nessuno dei due, perché entrambi questi aspetti appartengono all’artista. E io, ahimé, vorrei tanto esserlo, ma non lo sono.

Perché acquistare un quadro, un’opera d’arte?

Perché piace. Perché tocca corde intime della nostra parte invisibile e più profonda. Tanti anni fa capitai a Namur, una linda cittadina belga che ospita anche un elegante casinò. Lasciai sul tappeto verde un po’ di quattrini (come sempre accade, del resto, quando mi avvicino alla roulette). Mentre stavo guadagnando l’uscita, mi accorsi che alla parete dell’ultimo salone era appeso un dipinto colossale sul quale, peraltro, si stava appuntando lo sguardo di decine di persone in silenzio. Quel quadro mi procurò una scossa, mi piacque in un modo fulmineo, sconvolgente e inconsapevole. Si trattava di un cavallo, con le narici frementi, a cavalcioni del quale un soldato sorrideva beffardamente. Un’opera semplicemente stregante. L’autore era un certo Dalì. Salvador Dalì. Ordunque, se fossi stato miliardario avrei tentato di comprarlo seduta stante, senza riflettere, senza formulare domande, senza neppure chiedermi chi potesse essere l’autore.

In che misura è “ricco” un artista (contemporaneo)?

Da cronista ignorantone (ma osservatore attento per mestiere) posso asseverare che un artista contemporaneo, se non ha studiato la storia dell’arte e non si è formato “artisticamente” con le giuste frequentazioni, nelle giuste scuole, partecipando alle giuste lezioni, è semplicemente un poveretto. Non solo nel senso dello spirito d’arte, ma anche in quello culturale allargato. Arte contemporanea e linguaggio contemporaneo. Forse, noi maturi, dovremmo seguire tutti dei corsi di aggiornamento? Tempo fa un saputello di pittura, presentato in una galleria abruzzese  come  brillante “artista contemporaneo”, così si espresse, spavaldamente e, per giunta, con elevato tono della voce a proposito di uno scultore straniero che aveva partecipato a un’edizione della Biennale di Venezia : “…in fondo tutto questo favorisce il passaggio alla matrice esperienziale mediante un approccio immersivo…”.   Io non sono capace di volare così in alto! L’italianista Tullio De Mauro, invece, riferì agli studenti dell’Università di Pavia, che lo ascoltavano estasiati, quanto aveva scritto un artistoide di provincia a proposito di uno spettacolo teatrale: (sic) “… a livello di strutture profonde e di correlati sistemici neurologicamente saturati sussiste la necessitazione semiotica del condizionamento rematico del translinguistico…”. E qui, mi fermo.

Parlando di libertà, sei tentato a immaginare l’artista come un soggetto anarchico o vincolato dal sistema?

“In re ipsa”, avrebbero risposto i saggi latini. Ma stiamo scherzando? Un artista è un artista, nasce così. Di qualsiasi etnia o condizione, può essere vincolato, può dipendere da un ente o da qualcuno? Sì, certo che può, tutto è possibile. Ma non mi sembrerebbe giusto definirlo un artista perché l’artista è titolare di un DNA anarcoide già di suo, è naturalmente sovversivo (o nichilista, o ribelle, o ingovernabile). Ne abbiamo sapute di tutti i colori circa le opere commissionate ad eccellenti “artisti” da certi governi dittatoriali dell’est Europeo e del sud-America. Eccellenti, forse, ottimi esecutori, impeccabili artigiani, manipolatori straordinari dell’estetica. Ma artisti, non mi pare proprio. Io credo che un artista autentico non possa mai essere (anche) servile.

Quali sono le esigenze di un’artista? Materiali o solo estetiche?

Non è mica facile entrare nella testa di un vero artista. Un mio anziano collega romano una volta mi raccontò che, in casa di amici altolocati, conobbe De Chirico. Al mio collega si avvicinò un giovane ed estroverso psichiatra, con cui aveva legato durante la cena, che gli sussurrò all’orecchio : “…ti sembra facile cercare di leggere il cervello di quello lì…”, indicando, col mento, il famoso pittore. Quali sono state esattamente le esigenze profonde di De Chirico? Fino alla prima decade del prossimo giugno, a Roma, ci sono in mostra opere di un fotografo spagnolo geniale e piuttosto astruso. Si chiama Gregorio Prieto. La critica del suo Paese lo ha definito il più trasgressivo e originale del ventesimo secolo (scomparve nel 1992). Prieto, che fu amico intimo di Garcia Lorca, scattò fotografie incomprensibili e assurde. Una, in particolare, riassume tutta la sua personalità artistica: un autoscatto, dove si può ammirare Gregorio, in posa, con lo sguardo stravolto e due sedie, una tra le braccia l’altra sopra la testa. Che tipo di esigenze le sue?

Artisti o artiste, a chi daresti lo scettro?

Oddio!!! La risposta sarà impulsiva, immediata, subitanea, sfrenata. Vado? No, meglio di no. Oppure sì. Vado: agli artisti (iii). Perché? Non chiedetemi di più (anche perché non so spiegarlo nemmeno io).

Tags: Rita Vitali Rosati

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