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I padiglioni nazionali alla Biennale architettura di Venezia

Le curatrici Yvonne Farrell e Shelley McNamara, nel giugno 2017, hanno diffuso ai partecipanti alla Biennale Architettura 2018 il loro manifesto con il tema Freespace. Una parola che in italiano, e in altre lingue, è stata tradotta come ‘spazio libero’ ma interpretata in diversi significati dai curatori dei padiglioni nazionali. Le indicazioni parlavano di qualità dello spazio, di desideri inespressi, di generosità, di enfatizzare le risorse naturali, di benessere e dignità degli abitanti, di spazio democratico e soprattutto di libertà di immaginare lo spazio nel tempo passato, presente e futuro.

Il gigantesco tema è stato declinato, a volte con ironia, a volte con leggerezza altre volte concentrandosi su dettagli interpretativi di cosa sia, in definitiva il concetto di ‘free space’ ma con una prevalenza complessiva dell’info-grafica veramente debordante rispetto agli infiniti altri possibili modelli di rappresentazione. 

Così vediamo che il padiglione australiano propone Repair, un giardino di piante provenienti dal continente oceanico irradiate da lampade di nuova tecnologia che riproducono la luce solare. L’irradiazione si interrompe per le proiezioni di documentari a doppio schermo sul tema, ovvero l’architettura come stimolo alla riparazione dei danni ambientali, sociali e culturali perpetrati dall’essere umano finora.

In Austria lo spazio interno del padiglione, attraverso una passerella sospesa, dialoga con lo spazio esterno dove la pavimentazione a specchio dilata la profondità dello stesso.

Il Belgio interpreta lo spazio libero con un’agorà pubblica, un’installazione, accessibile a piedi nudi, che invita all’impegno politico dei cittadini europei. Tanto da ribattezzare il padiglione in Eurotopie.

Risponde con mappe scientifico/concettuali il Brasile. Un comitato multidisciplinare ha elaborato disegni, esposti sotto il titolo di Walls of Air, che rendono visibili le forme di separazione spaziale e concettuale risultato dei processi di urbanizzazione del Paese. Uno dei pochi padiglioni con progetti di architettura.

Il Canada ha ristrutturato, nel 60° anniversario del progetto di BBPR, il proprio padiglione ai Giardini e presenta una mostra proprio sul restauro dello stesso e conquista uno spazio all’Arsenale dove Unceded: Voice of the Land mostra l’identità spirituale degli architetti e urbanisti indigeni.

Il team curatoriale del padiglione egiziano, che vede la presenza dell’architetto italiano Cristiano Luchetti, affronta, con una scenografica installazione di riuscito effetto, il tema degli spazi di commercio spontaneo al Cairo. Robabecha si concentra sul fenomeno del commercio libero dei rigattieri che si insediano su aree che brutalmente vengono “liberate” dalle autorità egiziane senza preavviso.

Dieci architetti francesi hanno scelto, per la Francia, dieci edifici in disuso allestendo, nella parte centrale del padiglione, plastici con proposte di ristrutturazione sormontati dai materiali rinvenuti negli stessi luoghi. Nelle altre sale, il pensiero sugli edifici scelti di personalità francesi e la mappa dei luoghi infiniti che i frequentatori del padiglione possono suggerire seguendo le indicazioni esposte.

Decine di sportelli arancioni costituiscono lo spazio centrale del padiglione olandese. Aprendoli, alcuni contengono progetti e ispirazioni, altri – come finestre – si affacciano sugli altri ambienti e altri ancora sono le porte che danno accesso agli altri ambienti: il famoso Bed-in di John Lennon e Yoko Ono ricostruito e proposto da Beatriz Colomina come spazio di lavoro, l’automazione della città di Rotterdam di Kujipers e Muñoz Sanz e il concetto di cyborg esplorato da Amal Alhaag.

Dedicato alle stazioni ferroviare del passato, del presente e del futuro, il padiglione russo è diviso in cinque sezioni. Molto interessanti la prima, dove vengono proposti i progetti di diverse stazioni ferroviarie russe con planimetrie identiche – asimmetriche – ma con diversi alzati e finiture a renderli così differenti tra loro, e la sezione al piano inferiore dove “la cripta della memoria” riproduce lo spazio degli oggetti smarriti (con vere valige smarrite) con armadietti dove sono inserite le storie di personaggi famosi che hanno percorso la transiberiana da Tolstoj a David Bowie.

Il padiglione italiano descrive, attraverso video e grandi fotografie retroilluminate come insegne di fast food, la transumanza, la dorsale appenninica e aspetti particolari e remoti dell’entroterra italiano. Interessanti i padiglioni degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita e Teddy Cruz al padiglione Stati Uniti. Un discorso a parte merita il ‘Padiglione’ della Santa Sede all’Isola di San Giorgio Maggiore. Questa è la prima volta per il Vaticano in una Biennale di Architettura. Sull’Isola, Francesco Dal Co ha riunito 11 ottimi architetti a costruire, con materiali di imprese sponsor, altrettante piccole cappelle, sparse nel boschetto della Fondazione Cini; è questa una delle poche cose ‘costruite’ che si possono incontrare in Biennale quest’anno. Gli architetti invitati dall’ottimo Dal Co sono: Andrew Berman, Francesco Cellini, Javier Corvalàn, Ricardo Flores con Eva Prats, Norman Foster, Terunobu Fujimori, Sean Godsell, Carla Juaçaba, Smiljan Radic, Eduardo Souto de Moura, Francesco Magnani con Traudy Pelzel. Tra essi spicca per geometria e nitore l’intervento di Francesco Cellini in ceramica, come anche la muratura di Flores e Prats e lo scultoreo intervento di Eduardo Souto de Moura ben più concreto e potente delle foto aeree che hanno ricevuto il Leone d’oro. Nel complesso, questo intervento all’Isola di San Giorgio, ha dato a molti la possibilità di vedere uno dei luoghi più interessanti di Venezia spaziando nel bel parco da un padiglione all’altro tra verde e natura. 

La Gran Bretagna interpreta forse troppo alla lettera il concetto di spazio libero lasciando appunto vuoto l’intero padiglione e costruendo una terrazza sul tetto dello stesso. Operazione già vista anni fa nel padiglione francese ma, nel caso britannico, con nuovi punti di vista sulla laguna veneziana. La menzione speciale “per una proposta coraggiosa che utilizza il vuoto per creare uno spazio libero destinato a eventi e appropriazioni informali” non convince molto.

Così come il Leone d’oro assegnato alla Svizzera. Lasciano perplessi gli spazi domestici riprodotti senza arredi e in scale diverse. Un divertente cambio di scala che ricorda i viaggi di Gulliver ma inutilmente cerebrale dal punto di vista dell’interpretazione del tema.

Del resto Souto de Moura è stato premiato per delle foto(!), a leggere le motivazioni del Premio che recita testualmente: …per la precisione nell’accostare due fotografie aeree, rivelando il rapporto essenziale tra l’architettura, il tempo e il luogo. Lo “spazio libero” appare senza essere annunciato, con chiarezza e semplicità.

Massimo Mazzone, Roberto Sala

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