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José Heerkens

Impressionato dalla vastità della natura, cercai di esprimere l’estensione, la quiete e l’unità. […]

Le linee verticali e orizzontali sono l’espressione di due forze opposte; queste esistono ovunque e dominano ogni cosa; la loro azione reciproca costituisce la “vita”.

Piet Mondrian, Verso la visione della vera realtà, 1942, in Tutti gli scritti, Feltrinelli, Milano, 1975.

La pittrice olandese José Heerkens affronta il rapporto con la “vastità” della natura basandosi sull’“equivalenza degli opposti” come già in passato era stato per un altro artista olandese: Piet Mondrian. Anch’ella, infatti, intraprende la sua ricerca pittorica basandosi sugli spazi e sull’essenzialità degli elementi attraverso un dato esperienziale, poiché, come dichiara “nella natura si può trovare tutto”, asserzione riconducibile al modus operandi di Leonardo da Vinci.

Nel 1992 entra in contatto diretto con la natura in occasione del viaggio in Australia dove scopre l’immensità del territorio. Le ampie distese incontaminate, prive della presenza e della traccia umana, fanno scaturire in lei una riflessione a posteriori sugli elementi naturali. La produzione artistica successiva risentirà di questa vicenda, poiché farà seguito una riflessione sugli spazi e la linearità segnica e simbolica. Queste formulazioni teoriche si concretizzarono, infatti, sulle tele dell’artista come una semplificazione degli elementi grafici e cromatici. Le ampie distese disabitate, la presenza costante della linea dell’orizzonte nel panorama australiano e olandese fanno sì che la Heerkens elabori una sua spazialità, sintomatica di quel suo viaggio introiettato nella sua mente.

Lo spazio diventa, pertanto, non più semplicemente spazio fisico ma spazio mentale che si traduce sulla tela con linee e forme geometriche disposte lungo un’ipotetica linea orizzontale affinché si crei un ritmo dinamico e un bilanciamento cromatico tali da stabilire un’armonia fra gli elementi. La sintesi, raggiunta fra linee e colore, assume un carattere dialettico che sfocia in tessiture visive astratte paragonabili alle Compenetrazioni iridescenti (1912-14) dell’artista torinese Giacomo Balla, maestro della sperimentazione della relazione tra movimento e luce. Così anche la Heerkens, attraverso l’accostamento cromatico di rigorose forme geometriche essenziali e di colori uniformi, determina un senso di movimento in grado di produrre una differenza di informazione ottica che diventa non più misurabile quantitativamente secondo la formula matematica della lunghezza d’onda emanata dal colore (J.W. Goethe, La Teoria dei Colori, 1810).

L’alternanza della luce riflessa sui colori a olio distesi per campiture piene ma modulate dall’andamento verticale od orizzontale della pennellata provoca una reazione cromatica diversa sebbene il colore sia lo stesso, un gioco di chiaroscuro che nello spettatore si traduce in una percezione visiva ritmica. Allo stesso tempo, la superficie oleosa del dipinto rafforza il senso di movimento. La percezione del colore si fa mutevole e cangiante a seconda della posizione che si assume nello spazio in relazione all’opera. La sistematica alternanza delle pennellate attribuisce al colore un valore spaziale non solo all’interno del dipinto ma anche esternamente, stimolando la percezione visiva dell’astante che entra in contatto con la sfera più intima del dipinto.

Nella Heerkens il gesto è sempre controllato, l’atto intellettivo supera, quindi, la realtà sebbene essa sia il punto di partenza utile ad approdare alla conoscenza pura, all’essenza figurativa, fatta di forme rettangolari semplici e ripetitive su fondo monocromo che nei suoi lavori più recenti è dato dal colore naturale del lino. L’assenza di ogni riferimento realista si ritrova, quindi, fra gli spazi aperti, fra le superfici dipinte e quelle incolore. Da questa connessione segnica e cromatica, di derivazione neoplastica, si stabilisce una nuova relazione tra uomo e ambiente. Inoltre, l’assenza nei titoli delle singole opere a riferimenti naturali è sintomatica della volontà di astenersi da ogni riferimento al reale per accedere, invece, a una sfera contemplativa ed evocativa delle varie fasi del giorno e alla relativa interazione esecutiva e percettiva della luce. Proprio quest’ultima è un elemento fondamentale e determinante della sua arte, riscontrabile nella costante ricerca verso i rapporti spaziali che precedono gli effetti della percezione ottica. La luce che penetra dalle grandi vetrate del suo studio si riflette sulle tele disposte orizzontalmente sulle quali l’artista opera per dare vita a un gioco di volumi cromatici che definiscono spazialità inedite.

I prodromi di tale ricerca si possono far risalire a un altro maestro della storia dell’arte, Paul Cézanne, che con il suo instancabile lavorio attorno al Mont Sainte-Victoire divenne il precursore di una sperimentazione della realtà autonoma rispetto al modello naturale. Cézanne, prima, e la Heerkens, dopo, giungono a definire un’armonia parallela fra colore e forma come due elementi inseparabili.

Il senso cosmico dello spazio e la divisione in zone orizzontali, secondo un criterio simbolico più materico e terreno, sono fattori essenziali alla scelta del formato poiché da esso dipenderà l’esecuzione dell’intera opera. Le dimensioni della superficie pittorica, i confini cognitivi (E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, 1969) del quadro sono una parte fondante dell’opera, poiché il formato è già parte dell’opera stessa. Analogamente, sia nella scelta dei piccoli, intesi come “blocchi di un edificio”, sia dei grandi formati, la Heerkens mantiene una proporzione modulare armonica (Vitruvio, De Architectura, XV sec.) spesso in relazione 1:1 con l’uomo per instaurare, così, uno “stato di intimità”. Come affermava Rothko in Space in painting (M. Rothko, Writings on Art, 2006), “i grandi quadri ti mettono dentro di loro”. Vicina alle tematiche rothkiane sull’arte come linguaggio del sublime, avendo preso parte all’International Painting Symposium Mark Rothko 2016 presso il Mark Rothko Art Centre di Daugavpils (Lettonia), la Heerkens attribuisce alla scelta dei colori e dei materiali una grande importanza rivestendo, secondo una visione junghiana, un veicolo attraverso cui l’inconscio si manifesta con un proprio linguaggio. Le affinità con il maestro si riscontrano ulteriormente in una sorta di epifania del colore accuratamente ricercato per le sue qualità spaziali e la sua carica lirica e meditativa. La pittura si fa quindi razionalistica, più lenta, strutturata in senso geometrico mediante figure semplici e lineari secondo una logica molto vicina al motto less is more di Mies van der Rohe, lui stesso protagonista della vita di Rothko in quanto commissionario nel 1958 del lavoro decorativo, mai portato a termine, delle pareti del ristorante Four Seasons di New York.

Questo tipo di commistioni e contaminazioni storico-artiche e architettoniche sono uno degli elementi che contraddistinguono l’operato e il percorso artistico di José Heerkens che aderisce su questo fronte, sebbene la sua partenza da principi differenti, al desiderio di integrazione delle arti del De Stijl (Leida, 1917-1932). Fondatore di questo mensile e promotore di un nuovo senso estetico fu l’olandese Theo van Doesburg al quale vi collaborarono molti artisti del calibro di Mondrian. La Heerkens, prendendo parte alla mostra Lebt Theo? Niederländische Kunst 80 Jahre nach van Doesburg Manifest zur konkreten Kunst (Bonn, 2010), ne diventa parte integrante grazie al suo percorso artistico fatto di elementi astratti essenziali e geometrici in relazione con l’opera d’arte e lo spazio. Da qui il passaggio al Bauhaus, e alla disciplina pittorica insegnata rispettivamente da Vasilij Kandinskij e Josef Albers come trasformazione delle forme elementari nello spazio e i problemi della visione legati all’illusione ottica, è immediato e testimoniato, allo stesso tempo, dalla sua residenza del 2011 presso la Josef and Anni Albers Foundation di Bethany (Connecticut, USA).

Come i suoi più illustri predecessori del Bauhaus o di Abstraction-Création, la Heerkens ha definitivamente raggiunto la non figurazione attraverso una concezione d’ordine puramente geometrica tramite l’impiego esclusivo di elementi comunemente chiamati astratti di cui ne propone infinite variazioni diventando così una sua prassi operativa e linguistica.

La ricerca di un linguaggio espressivo comune a tutti gli esseri umani, come quello iconico pittorico, è alla base della sua ricerca dal 2010 in poi, dopo la realizzazione dei primi quadri della serie Written Colours. Nati da un processo spontaneo e autonomo di pensiero intorno alla sequenzialità creativa dell’opera essi sono la dimostrazione di un’unità linguistica e narrativa che accomuna ogni quadro o disegno dell’artista. Allo stesso tempo ogni singola opera si dimostra indipendente dalla precedente o dalla successiva come una sorta di sequel letterario dove lo scrittore, adoperando codici linguistici condivisi da una comunità (Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, 1967), realizza la propria opera letteraria per esprimere la propria storia. Lo stesso vale per il pittore, in questo caso la Heerkens, che attraverso forme e colori, quindi codici iconici e cromatici universali, esprime visivamente la propria creatività, il proprio narrato. Comun denominatore per entrambi è il flusso libero di idee che si organizza sulla carta o sulla tela per donare un’emozione al lettore od osservatore.

Concludendo, è possibile individuare e definire un linguaggio pittorico proprio dell’artista fatto di colori puri, forme geometriche e linee orizzontali che fluiscono autonomamente dalla mente al pennello della Heerkens come singole opere indipendenti ma facenti parte di una più complessa logica creativa e spaziale di cui l’artista è investita in una sorta di stream of consciousness ogni qual volta si accinge alla realizzazione di una nuova opera secondo una logica di infinita ricerca. In questo modo il viaggio della e nella creatività dell’artista non avrà mai fine.

 

Le opere di Josè Heerkens sono visitabili fino al 13 Maggio 2018 nella mostra Last Night’s Fortune Teller presso Daimler Contemporary Berlin.

 

Haus Huth

Alte Potsdamer Straße 5

10785 Berlino

Germania

 

Tutti i giorni dalle 11.00 alle 18.00

Ingresso gratuito

 

Inoltre, l’artista farà parte a Maggio 2018 di un progetto espositivo ospitato e promosso dalla SEA Foundation di Tilburg a cura di Valeria Ceregini.

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Valeria Ceregini

Valeria Ceregini è una storica dell’arte, curatrice e scrittrice indipendente con sede a Torino e a Dublino, Irlanda. Ha conseguito la laurea magistrale in Semiotica presso l'Università di Torino e in Storia dell'arte contemporanea cum laude presso l'Università di Genova. Ha proseguito i suoi studi in storia dell’arte frequentando la Scuola di Specializzazione in Beni Artistici Storici dell'Università di Genova. Nel 2015 è stata Assistente Curatore presso la GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, nel 2016 curatrice editoriale e archivista presso la Fondazione Centro Studi Piero Gilardi. Dal 2015 è contributore abituale per alcune riviste di settore e risulta vincitrice di diverse residenze europee per curatori. Dal 2017 collabora come curatore con il Pallas Projects/Studios di Dublino e con la SEA Foundation di Tilburg, Olanda.