Non poteva essere una mostra altri che sul “tempo” quella che si sta svolgendo nell’imponente complesso archeologico del Palatino a Roma, Kronos e Kairos – I tempi dell’arte contemporanea, inaugurata alcuni giorni fa e visitabile per i prossimi mesi fino al 3 Novembre 2019, con la curatela di Lorenzo Benedetti e realizzata insieme alla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane, che ne ha curato il coordinamento scientifico.
Una mostra di opere della nostra attualità in uno dei più importanti siti archeologici al mondo.
Promossa dal Parco archeologico del Colosseo con l’organizzazione di Electa, indaga i significati e i limiti del tempo attraverso un corpo di installazioni, sculture, opere audio e audiovisive.
Parliamo di un percorso articolato che coinvolge quindici artisti, sia italiani che stranieri, e che si dipana per tre importanti segmenti del sito monumentale. In un’area indubbiamente molto estesa, impegnativa per la resa organica di un percorso, non sempre immediatamente percepibile, ma che in una prospettiva fortemente incentrata sul mito, e sulle sue implicazioni con la modernità, attua un dialogo fra l’arte di oggi, l’archeologia e la storia. In questa dialettica di “tempi” Kronos è ciò che scorre, mentre Kairos vuol dire il momento opportuno, ovvero quello in cui qualcosa di particolare accade. E ciò che accade è evidentemente: l’opera, l’impronta dell’uomo sul mondo.
Il tracciato si sviluppa risalendo le Arcate Severiane, con la successione paratattica delle sue immense strutture voltate. Su queste sono montate le tre bandiere di Matt Mullican, già visibili nel prospetto offerto dalla valle del Circo Massimo, a via dei Cerchi. Forse l’opera più sfidante dal punto di vista dell’impatto visivo insieme ai volti cancello di Kasia Fudakowsky nello Stadio Palatino.
Sebbene l’intero percorso espositivo tenda quasi a mimetizzarsi nel luogo, a farsi assorbire – in un approccio esteticamente più intimo e concettuale delle opere, che sensazionalista -, le bandiere di Mullican, appositamente pensate per il sito, sono un fattore di attrazione molto forte. Queste constano di teli monocromo di formato quadrangolare di grande dimensione, montate su apposite impalcature. Immensi stendardi – otto metri per otto – impressi di simboli all’apparenza tipici di una grafia pop. Dall’aspetto quasi convenzionale, in qualche modo coerente al codice iconico proprio delle interfaccia digitali cui la modernità ci ha abituato. Forme sintetiche e geometrizzanti, paradigmi di un linguaggio che in realtà è inintellegibile, misterioso, differente, simile solo all’aspetto ma intraducibile, sconosciuto nei fatti. E di cui, nonostante questo, percepiamo una struttura di fondo, una sua logica interna, qualcosa che cattura la nostra attenzione per affinità e che ci lega a una categoria del “superiore” che ci comprende e ci accomuna.
L’aspetto usuale e tuttavia indecifrabile delle forme di Mullican crea una forte suggestione. Amplificata dal sito, proiettato in una dimensione esterna allo scorrere del tempo, ma connesso a noi – adesso e qui – da un sistema di segni comuni seppure misteriosi, estranei, “altri”. Segni applicati al complesso monumentale, in un’ambizione altrettanto evocativa di uno spazio mitico, universale, extraterrestre, perché rivolto allo spazio abitato dei mondi e delle intelligenze parallele.
Il percorso risale per lo Stadio Palatino – situato fra la Domus Augustana e quella Severiana – anticamente un giardino con lunghi portici ombreggiati, dedicato ai momenti di svago -, per arrivare al grandioso Palazzo Flavio, nella parte del Peristilio inferiore della Domus attraversando la Sala dei Capitelli.
Durante questo tragitto incontriamo un gruppo di opere di Hans Josephsohn in realtà disseminate in modo diffuso lungo la mostra. Un artista fortemente legato all’Italia la cui opera in questi ultimi anni è oggetto di una riscoperta. Sei pezzi scultorei in ottone, che seppure di aspetto antropomorfo, a misura d’uomo, si presentano come agglomerati di materia, appena foggiata in forme riconoscibili, come fossero impronte, resti di figure erose da un tempo siderale, incalcolabile in ampiezza, ma dotate per questo di un intenso magnetismo, di una forza espressiva lacerante che fa di Josephsohn uno scultore esistenzialista; ovvero strettamente legato a quel tipo di estetica segnata dalla grande tragedia della guerra. Un realismo espressionista, di un soggetto umano completamente gettato nell’incertezza di un mondo non più dominato da verità o leggi universali. Questo senso di perdita, di figure quasi totemiche e immote riecheggia fortemente il sito archeologico, anch’esso rovina muta, silente testimone, vestigia di una grandezza tramontata, dal fortissimo impatto emotivo.
All’altezza dello Stadio, con il suo lato meridionale curvo che gli conferisce l’aspetto di un ippodromo, e posto a una altezza inferiore rispetto alla Domus Flavia-Augustana, rendendo quindi il complesso ancora più svettante, sono collocate le grandi strutture a cancello della giovane artista Kasia Fudakowsky di base a Berlino. L’opera già presentata alla Biennale di Varsavia nel 2010, si chiama Krewne, ed è stata installata sotto il cavalcavia di Tysiąclecia. La scultura è strutturata come un insieme di cancelli, i quali raffigurano visi in forma astratta che si ‘fronteggiano’ quando sono chiusi ma sono capaci di ‘vedersi’ a vicenda quando vengono aperti.
Capace di confrontarsi con la forza del sito anche il lavoro dell’italiano Giovanni Ozzola. Una gigantesca parete di ardesia delicatamente poggiata in un corridoio di raccordo fra due settori del complesso Palatino, capace di creare una suggestione scenografica notevole. Su 98 tavole di ardesia, una pietra liscia, scura e compatta, che rende estremamente riflettente il canale di passaggio, si compone l’immagine di una mappa del mondo. Incisa con una linea appena percepibile, dura, sottile, che segna le rotte di viaggio dei più famosi navigatori ed esploratori della Storia: da Giovanni Caboto a Zheng He, da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci, da Vasco de Gama a Ferdinando Magellan. Il cammino dell’uomo, come lo stesso autore ama definirlo, rifacendosi a un testo del filosofo Martin Buber. La geografia come traccia diventa il corrispettivo di un viaggio interiore. Un lavoro dal significato poetico, espresso in una forma rigorosa, pura; come la scia impalpabile di una nave, riprodotta nell’effetto gestuale esteso, che si getta sulla superficie accennandosi nel disegno sottile.
Seguono quindi gli interventi Nina Beier; Catherine Biocca; Fabrizio Cotognini; Dario D’Aronco; Rä di Martino; Giuseppe Gabellone; Oliver Laric; Cristina Lucas; Hans Op de Beeck; Giovanni Ozzola; Fernando Sánchez Castillo, ciascuno secondo il proprio linguaggio.
Vale la pena di concludere con il lavoro di Jimmie Durham, in realtà posto all’inizio del percorso espositivo, per tornare da dove abbiamo cominciato. L’artista appena aggiudicatosi il Leone d’Oro alla carriera all’ultima Binnale, decide di formalizzare il suo dialogo con un uomo al di fuori del tempo, astratto in una dimensione assoluta, servendosi di una antenna parabolica al centro della quale è posto un osso. Un assemblage primitivista, di archeologia contemporanea, che gioca a riposizionare il nostro piccolo tempo presente nella sua scala di riferimento rispetto all’immane categoria sovra-storica del tempo perenne, l’eterno. E lo fa ponendo l’attenzione sull’obsolescenza della tecnologia, che riduce l’uomo a un dettaglio accidentale nell’universo, un po’ ridicolo con le sue ambizioni irrinunciabili, in quest’ottica patetiche e implacabilmente titaniche.
Dal 19 al 21 luglio e dal 1 settembre al 3 novembre gli studenti provenienti dai corsi di studi in storia dell’arte dell’Università di Roma Sapienza, saranno presenti nell’area archeologica del Palatino per dialogare con i visitatori, rispondere alle loro domande e stimolare la fruizione attiva delle opere d’arte.
Kronos e Kairos – I tempi dell’arte contemporanea
a cura di Lorenzo Benedetti
Roma, Palatino
dal 19 luglio al 3 novembre 2019
Orario: dal 19 luglio al 30 settembre dalle 10.00 alle 17.00
dal 1° ottobre al 3 novembre dalle 9.00 alle 16.00
Ingresso a pagamento
website: www.parcocolosseo.it