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La Collezione Cerasi a Palazzo Merulana

Nel catalogo di una mostra dedicata alla madre, Miriam Mafai racconta che la giovane Antonietta de Simon Raphaël arrivò a Roma all’inizio degli anni Venti: incerta la sua città d’origine, 1985 o 1900 il suo anno di nascita, “aveva con sé un violino, un candelabro a sette bracci e un’edizione antica delle Metamorfosi di Ovidio”. Antonietta era lituana e non parlava italiano, ma frequentò i corsi dell’Accademia di Belle Arti e lì conobbe un giovane pittore, si chiamava Mario Mafai. Miriam dice che lui era pudico, pigro, sensibile; lei invece era donna dalle passioni smisurate. All’inizio ad Antonietta i quadri di Mario non piacevano, diceva che erano tristi; Mario invece amò subito le prime prove di lei come pittrice e la spinse a continuare. Era solo il principio di mezzo secolo di vita insieme. 

Tra il ‘26 e il ‘30 nacquero tre figlie, Miriam, Simona e Giulia. Per un periodo la famiglia visse al 325 di via Cavour: la casa era piccola ma c’era un grande terrazzo che affacciava su Foro e Palatino, e con Roma intorno Mario e Antonietta dipingevano e incontravano gli amici pittori, soprattutto Gino “Scipione” Bonichi. Già nel 1929 Roberto Longhi definì questa la “Scuola di via Cavour”. Proprio mentre il Novecento guadagnava retorica e ufficialità, questi antagonisti avevano in mente l’espressionismo europeo e l’arte francese, non erano avanguardia né antiavanguardia. È la stessa generazione di Trombadori, Francalancia, Donghi, Mazzacurati, quella che nei manuali di storia dell’arte trovi nel capitolo dell’arte romana di inizio secolo: sono uomini che videro due guerre mondiali, e che ebbero solo la pittura per rispondere allo spaesamento delle loro anime e alla crisi del loro ruolo nella società. Producevano quadri e sculture, s’incontravano nei caffè, sulle riviste, non costituiranno mai un movimento vero e proprio, il loro collante era la città. Sono gli anni in cui nasce il realismo magico, si ristudia la pittura del primo Rinascimento italiano, ma anche il Seicento, si riformula la Metafisica, ci sono nuove forme di purismo: alcuni artisti poi presero a viaggiare e a risiedere anche molto tempo fuori, alla ricerca di nuovi stimoli. 

Nel frattempo Roma si trasformava sotto il piccone del Ventennio, gli sterri archeologici la volevano scenario fastoso per la propaganda imperiale. Si demoliva, si risanava, si faceva spazio, qualche volta si ricostruiva e si inaugurava, spesso grandi progetti venivano abbandonati o ridimensionati. Viene da pensare che gli architetti, più dei disincantati artisti, si illudessero di poter coniugare l’obbedienza al regime con la qualità delle loro opere: per molti il risultato fu la frustrazione dell’incompiuto. 

Il più grande sventramento della città antica si consumò proprio in via Cavour; la casa dove Antonietta Raphaël aveva dipinto L’autoritratto col violino (1928) venne demolita per l’apertura della nuova via dei Fori Imperiali, voluta da Mussolini: ma a quei tempi la famiglia era già altrove, tra Parigi, Londra, e poi a Genova. Solo molto tempo dopo il matrimonio, celebrato nel 1935, tornerà stabilmente a Roma.  

Intanto poco distante, a via Merulana, cominciava un’altra storia.

Antonietta Raphaël, Autoritratto con il violino, 1928

Nel 1929 era stato inaugurato un grande edificio pubblico, concepito con i caratteri di rappresentanza tipici dell’epoca: tre ampie aperture al pianterreno con colonne di travertino, grandi finestre ai piani superiori, molti elementi decorativi. Era l’Ufficio d’Igiene, ma ebbe vita breve, perché negli anni Sessanta si era già deciso di demolirlo e di ricostruirlo in cemento armato e vetro. Il progetto non fu mai portato a termine, e il corpo mezzo sventrato del palazzo ha segnato questo tratto di strada per decenni. I romani non fecero fatica ad accettare questa ennesima rovina, ma moderna, e si perse un po’ la memoria dei fatti, al punto che le generazioni successive non sapevano esattamente cosa fosse successo, qualcuno diceva che erano state le bombe. 

Oggi, dopo tanto tempo, questi pezzi di storie interrotte sono stati rimessi insieme. Dopo sei decenni di abbandono, lungaggini burocratiche e intenso lavoro, il palazzo – ancora di proprietà comunale – è stato recuperato grazie ad un project financing della famiglia Cerasi e la SAC spa, ed è stato dato in gestione a CoopCulture. Al suo interno è ospitata la collezione della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, i quali con accortezza e sensibilità hanno messo insieme una raccolta di opere che per organicità e ampiezza è un vero strumento di conoscenza dell’arte romana di quegli anni. Posta in dialogo coerente con produzioni più recenti e assicurata a Roma, la collezione oggi è a disposizione di tutti. È visibile al piano terra, attraverso le grandi vetrate aperte su strada, con le sculture della Raphaël e le opere di Ceroli, Pugliese e Penone; al secondo piano, con il Donghi dei Piccoli saltimbanchi del 1938, il De Chirico delle Cabine misteriose del 1934 e il Capogrossi de La gita in barca del 1933, tanto per citarne alcuni. Ci sono anche Cambellotti, Balla, Casorati, Campigli; al terzo piano si arriva ad una Galleria per le mostre temporanee, e sopra si apre una terrazza. L’articolazione degli spazi è funzionale non solo all’esposizione di opere d’arte, ma anche alla produzione di eventi culturali, spettacoli, presentazioni di libri, incontri con autori e scrittori e con personalità del mondo contemporaneo. Tutto questo è Palazzo Merulana: una bella collocazione che si dà a un’importante raccolta, il recupero di un edificio, la ricucitura di un pezzo di storia cui sono chiamati a partecipare i cittadini, le loro associazioni e le comunità del territorio. 

Lo scorso 10 maggio, giorno dell’inaugurazione, c’era Giulia, la più piccola delle figlie dei Mafai: è entrata senza enfasi, sorrideva e stringeva la mano a tutti. L’abbiamo vista emozionarsi riconoscendo le statue della madre, l’abbiamo vista stampare un bacio alla statua-ritratto del padre col gatto Ginger. Al secondo piano era lì a riguardarsi i quadri dei genitori: ti immagini Mario e Antonietta coi pennelli in mano non lontano da lì, su quella terrazza di via Cavour, e lei intorno a giocare con le sorelle, più di ottanta anni fa. 

Roma è ancora oggi una città che soffre, ma è stato consolatorio vedere la signora Giulia vicino ai ritratti della sua famiglia, e insieme a lei i signori Cerasi che festeggiavano con così tante persone: per una volta ogni cosa era al suo posto.

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