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Marije Gertenbach

Si richiede un cambiamento nell’essenza e nella forma.

Si richiede il superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica. […]

Invocando questo mutamento operato nella natura dell’uomo, […] abbandoniamo la pratica delle forme d’arte conosciuta abbordiamo lo sviluppo di un’arte basata sulla unità del tempo e dello spazio.

Lucio Fontana, Manifesto Blanco, Buenos Aires, 1946.

Nell’arte pittorica di Marije Gertenbach la ricerca dello spazio, il superamento dei limiti fisici della pittura, è il fondamento essenziale da cui parte la sua indagine artistica. L’artista olandese persegue costantemente il desiderio di sconfinare i limiti precostituiti della tela per accedere a una dimensione allargata su cui operare e poter così interagire con uno spazio dilatato maggiormente legato al reale.  La Gertenbach vede lo spazio come un’entità sociale in cui si svolge un’evoluzione culturale percepibile nell’arte che ne consegue.

Partendo dalla definizione düreriana, “Item Perspectiva ist ein lateinisch Wort, bedeutet ein Durchsehen” [perspectiva è una parola latina, significa guardare attraverso, ndr], come fece Erwin Panofsky in La prospettiva come forma simbolica (1927), è possibile avviare una analisi della concezione di spazio dall’antichità classica all’epoca moderna. Nel saggio si dimostra come gli artisti in passato abbiano rappresentato la spazialità secondo la concezione a loro contemporanea della stessa e del mondo circostante.

Questo è un aspetto che si ritrova nella ricerca artistica della Gertenbach che, infatti, è da sempre interessata e affascinata alla pittura murale in particolare, laddove la spazialità pittorica si esprime al meglio e il ciclo narrativo si fa espressione di un’epoca, della Weltanschauung culturale di un determinato periodo. Nel suo viaggio in Italia, la Gertenbach è stata attratta dall’arte di Giotto e dai suoi cicli pittorici sulle Storie di S. Francesco (Basilica Superiore, Assisi, 1292-1296) e sulle Storie della Vergine e di Cristo (Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-1305). In esse sono racchiuse tutte le evoluzioni scientifiche del sistema di rappresentazione prospettico-spaziale e le forme simboliche di una concezione elaborata dalla cultura dell’epoca. In questi spazi circoscritti dalle pitture è possibile esperire con gli occhi e con la mente dell’estetica giottesca che scandisce gli spazi e i registri narrativi con magistrale perizia esecutiva e ideativa. Siamo di fronte a una maestria del tutto innovativa che la Gertenbach riprende nelle sue installazioni pittoriche ove cerca di ricreare quel senso di estraniamento dal reale per introdurci in una dimensione sensoriale ed emotiva privata, la stessa che provarono le persone dell’epoca e, in particolare, gli “analfabeti” di Gregorio Magno nel contemplare le Storie di Giotto.

La Gertenbach è, inoltre, incuriosita da come oggi siamo soliti fruire delle decorazioni murarie spesso distaccate per motivi conservativi dai loro spazi originari per essere conservate in musei, in contesti del tutto diversi rispetto alla destinazione originaria. Questo processo di straniamento è di interesse per la sua ricerca artistica al fine di liberare il quadro dalla cornice permettendoci, in un certo qual modo, di riconoscere e attribuire al solo gesto creativo un valore eterno.

L’artista riporta anche un interesse spiccato verso i luoghi privati, nonché i relativi motivi pittorici, dei papi dell’epoca rinascimentale e di come questi abbiano cambiato funzione e significato nel corso dei secoli. Partendo dalla lettura del libro di Leny Louise Waarts, Badkamers voor pausen en prelaten [Bagni per papi e prelati, ndr] (2014), la Gertenbach si dimostra interessata come pittrice alla considerazione a priori della presenza umana, della sua interazione fisica e interpretativa di tali decorazioni e spazi, e alla sua evoluzione culturale. Il gusto per il recupero dell’Antico costituì una componente fondamentale nel Rinascimento che si diffuse sia in aspetti del costume sia in campo artistico, con il coinvolgimento della scuola di Raffaello nella decorazione a grottesche della Stufa del Cardinale Bibbiena nei palazzi Vaticani (1516) e del Bagnetto di Castello di Clemente VII de’ Medici (1525). Questi ornamenti avevano anche un’esplicita funzione non solo decorativa ma anche pratica secondo le medicine dell’era in cui si consigliava la visione di determinati soggetti per predisporre l’osservatore a un benessere conseguente. L’archiatra del papa Urbano VIII, Giulio Mancini ne formulò un trattato, Considerazioni sulla pittura (1617-1621), dedicando la seconda parte proprio a queste tematiche.

Tutto ciò dimostra come non ci sia contrapposizione tra spazialità antica e spazialità rinascimentale: nell’antichità si aveva una idea di spazio finito, non omogeneo, in rapporto alla percezione fisiologica spaziale, mentre nel mondo moderno essa si fonda su principi matematico-geometrici, per cui lo spazio risulta infinito, omogeneo e dunque sistematico. Con Panofsky si arriva a definire una tesi che conferisce all’idea dell’evoluzione di spazio una contigua e armonica evoluzione dello spirito così come la Gertenbach ci dimostra con il suo lavoro in diacronia perenne.

Marije Gertenbach supera la bidimensionalità del quadro per fare esplodere l’arte nel contesto fisico. Lo spazio viene assorbito dalla pittura, che, nel suo dilagare nell’ambiente, muta anche il concetto espositivo, non più tele incorniciate appese alle pareti, ma pareti di colore. Le sue proposte artistiche irrompono nello spazio, scardinando le regole tradizionali della pittura per coinvolgere direttamente lo spettatore. La libertà espressiva dell’artista agisce sullo spettatore generando diversi stati d’animo e coinvolgendo totalmente il pubblico nello scenario da lei creato. L’opera d’arte viene quindi sperimentata attivamente, vissuta in prima persona attraverso un vero e proprio coinvolgimento sensoriale. L’architettura delle tele smontabili e riadattabili mostra il carattere effimero dell’arte così come della vita stessa.

Marije Gertenbach farà parte dal 12 Maggio al 10 Giugno 2018 della mostra collettiva “Beyond the Painting” a cura di  Valeria Ceregini ospitata e promossa dalla SEA Foundation di Tilburg .

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Valeria Ceregini

Valeria Ceregini è una storica dell’arte, curatrice e scrittrice indipendente con sede a Torino e a Dublino, Irlanda. Ha conseguito la laurea magistrale in Semiotica presso l'Università di Torino e in Storia dell'arte contemporanea cum laude presso l'Università di Genova. Ha proseguito i suoi studi in storia dell’arte frequentando la Scuola di Specializzazione in Beni Artistici Storici dell'Università di Genova. Nel 2015 è stata Assistente Curatore presso la GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, nel 2016 curatrice editoriale e archivista presso la Fondazione Centro Studi Piero Gilardi. Dal 2015 è contributore abituale per alcune riviste di settore e risulta vincitrice di diverse residenze europee per curatori. Dal 2017 collabora come curatore con il Pallas Projects/Studios di Dublino e con la SEA Foundation di Tilburg, Olanda.