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Note sul Teatro Andromeda

L’esistenza ci impone di sottoporre in continua cura la bellezza. Quasi essa non si accordi con chi la accoglie, che è eterna morte, o fosse fragile riflesso di qualcosa di più alto, dunque semplice “tepore”. Tale cura, la quale ha formule segrete, non è unicamente destinata alla bellezza in sé, cangiante al punto di perdere addirittura le caratteristiche che la rendono “buona proporzione”, ma anche alle sue conseguenze.

Andromeda, una bella fanciulla, è infatti vittima della vanità di sua madre, Cassiopea. Ella, mentre pettina i suoi riccioli, offende le Nereidi dichiarando di essere la più bella. Le ninfe marine, infuriate, chiedono a Poseidone giusta punizione. Egli le accontenta, facendo dell’errore di una donna la condanna di una terra: l’Etiopia, governata dal re Cefeo, lo sposo di Cassiopea, viene minacciata da un mostro marino. Giunge qui la coscienza del dolore: come uscirne? Il solo in grado di rispondere alla domanda, cioè l’oracolo di Ammone, suggerisce di incatenare Andromeda su una parete rocciosa, presso le coste del regno; sacrificando la bella fanciulla di fronte lo sguardo di Poseidone. Il caso, qui, inserisce i suoi dadi e conclude la sofferenza. Perseo, che dall’Etiopia è di passaggio perché reduce della decapitazione della Medusa, incontra l’angoscia di Andromeda incatenata. Ella, dopo parecchi silenzi, narra al suo eroe della vicenda di cui è vittima. Perseo, adempiendo al suo dovere, e intenerito sentimentalmente, uccide il mostro marino e libera la fanciulla, prendendola in sposa.

Chiudendo la pagina mitologica, e aprendo quella astronomica, sappiamo da dati ancora poco affidabili che la Galassia di Andromeda, distante da casa nostra due milioni e mezzo di anni luce, e scoperta nel 964 dall’astronomo persiano Abd al-Rahmān al-Ṣūfi, il quale la descrisse nel suo “Libro delle stelle fisse” una “piccola nube”, è in avvicinamento verso la Via Lattea con una velocità di alcune centinaia di chilometri al secondo. Ciò significa che, probabilmente, la collisione potrebbe avvenire tra un paio di miliardi di anni, provocando, successivamente altri miliardi di anni, una galassia ellittica gigante.

Ora restringiamo l’attenzione. Nel nostro pianeta, a Santo Stefano Quisquina, un paesino montano nella provincia di Agrigento, che prende il nome dalla corona dei monti e dall’oscurità dei boschi che la circondano, un’astronave in pietra, a forma di teatro, è stata realizzata dal pastore e scultore Lorenzo Reina: trent’anni di lavoro e una straordinaria volontà di raccontare la metafora nascosta nel mito greco e nel dato astronomico.

Poche note sul Teatro di Andromeda. L’aria profuma di terra, e accompagna lo sguardo dell’osservatore, a circa mille metri sopra il livello del mare, su un orizzonte privo di limiti per coloro che hanno una buona immaginazione. Le colline sottostanti, adombrate dalle nuvole, si rincorrono con curiosi giochi cromatici. Il vento suona improvvise melodie, insinuandosi tra le pietre degli spalti. La sensazione principale: si entra al teatro con un tempo, quello in cui l’atmosfera non era stata ancora esperita, e si esce con un altro tempo, che ha tutti i frammenti del palco in collisione con lo spazio. Le sedute della platea, all’apparenza disordinate, riproducono la costellazione di Andromeda; il palco, invece, la recita del cosmo. Così come lo conosciamo, con la necessità di imitarlo e sottoponendo in continua cura la bellezza.

Teatro Andromeda,

Santo Stefano Quisquina (Ag).

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Dario Orphée La Mendola

Nato ad Agrigento. Maturità scientifica. Laurea magistrale in filosofia. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione presso l'Accademia di Belle Arti di Agrigento e Progettazione delle professionalità presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Critico e curatore indipendente. Collabora con numerose riviste, scrivendo di arte, estetica, filosofia della natura e filosofia dell'agricoltura. Si sta occupando dello studio del sentimento, di gnoseologia dell'arte, estetica della natura e scienze naturali.