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Rashid Rana

My work is often a three-way negotiation between myself, my immediate physical surroundings and what I receive – whether through the Internet, books, history or collective knowledge.
Rashid Rana, ArtReview, 2013

Negli spazi della Lisson Gallery a Milano è in corso, fino al 14 marzo, la prima mostra personale italiana di Rashid Rana, l’artista pakistano tra i più conosciuti della nuca generazione di artisti provenienti dal continente indiano. I suoi lavori appaiono, a prima vista, come mosaici e, anche questa volta è quello che fa: prende l’arte, l’attualità e la politica, le spezzetta, le riordina e le interpreta nuovamente, trasportando immagini da un tempo e luogo a un altro, attraverso la manipolazione, la ripetizione e il riassetto delle immagini scomposte. Dagli esordi, Rashid Rana, ha smesso di tagliare minuziosamente tutte le immagini a mano per comporle con la perizia visiva che caratterizza la sua arte e ha digitalizzato il suo processo di produzione. 

L’artista ora si serve di un software informatico, o meglio, di un virus che produce immagini coerenti con la sua poetica ma con risultati meno prevedibili.

Le opere in mostra fanno parte di una nuova serie che Rana ha dedicato ai capolavori della pittura milanese scegliendo di scomporre, frammentare e trattare come campi digitali di colore la leonardesca Salomè di Cesare da Sesto e la Madonna del cuscino verde di Andrea Solari, insieme al Giuramento degli Orazi di David o Il ratto delle figlie di Leucippo di Rubens. Questo è indubbiamente un lavoro meno politico e provocatorio dei suoi precedenti, come i burqa ottenuti da immagini pornografiche del 2004, o la nota serie che raffigura tappeti persiani realizzata con pezzetti d’immagini d’attualità, Red Carpet (2007), ma è comunque una riflessione sull’idea dell’identità artistica italiana che Rana ha sviluppato osservando le opere al Louvre di Parigi e alla National Gallery di Londra.

 Il risultato sono delle altre immagini, anche in questo caso che disturbano perché, anche se non violente, vengono percepite come disarmoniche e in contrasto, in cui il colore è sempre violento e in cui gli accostamenti delle parti risultano stridenti, al limite della “scomodità”. Non mancano però le immagini d’attualità crude mistificate dalla rottura operata da Rana. È questo il suo modo di imporre la crudezza della realtà, impedendo ai suoi osservatori di distogliere lo sguardo. E qui ritornano le discussioni care alla sua opera riguardo al ruolo della parte e del tutto e della figurazione e dell’astrazione. Per Rashid Rana quello che rimane fondamentale è la capacità dell’arte d’interpretare la realtà e non di copiarla. Al contrario delle macchine contemporanee d’informazione, l’arte non dipinge il reale così com’è ma lo modella e lo interpreta assecondando l’occhio di chi la esperisce.

Lisson Gallery – Via Zenale 3, Milano
24 gennaio – 14 marzo

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