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Fabio Mauri 1968-1978 e Matteo Fato protagonisti di Castelbasso 2018

Maria Letizia Paiato

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Castelbasso 2018

Castelbasso è giovane! Compie, infatti, vent’anni la storica manifestazione che vede il piccolo borgo del teramano protagonista delle estati abruzzesi, animato sin dalle prime edizioni da importanti mostre ed eventi culturali. “Castelbasso è un centro essenziale nella ricerca del contemporaneo; Castelbasso fa centro da vent’anni grazie all’impegno della Fondazione Malvina Menegaz per le arti e la cultura”, parole queste pronunciate dal Presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso, alla cui presenza sono state inaugurate le due mostre, rispettivamente a palazzo De Sanctis e palazzo Clemente, quella più storica dedicata alla fondamentale figura di Fabio Mauri e quella più attinente al presente che vede protagonista Matteo Fato in dialogo con le opere della Fondazione.

Fabio Mauri 1968-1978, già si evince dal titolo, propone nel percorso studiato da Laura Cherubini, curatrice del progetto, uno spaccato concentrato su un decennio di profondi mutamenti culturali, nell’arco del quale Mauri comincia una personale riflessione sul concetto e sul senso dell’ideologia. Fabio Mauri – lo ricordiamo – nato nel 1926 e scomparso nel 2009, testimone di sconvolgenti eventi che hanno segnato il ‘900, ci riferiamo alla guerra naturalmente, fondatore appena sedicenne nel 1942 con l’amico Pier Paolo Pasolini della rivista “Il Setaccio”, presente in tantissime Biennali di Venezia e profondamente legato all’Abruzzo per via della sua attività di docente presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, è stato uno fra gli artisti più intensi e profondi che il nostro Paese abbia conosciuto.

Anticipatore sui tempi, visionario e sensibile, già dalla fine degli anni Cinquanta Mauri propone il concetto di “schermo” come proiezione contemporanea dell’umanità, riaffrontando in seguito i dolori del passato della società, non tanto per esorcizzarli quanto per stimolarne l’esercizio critico, all’interno del quale, come insegnavano gli antichi greci, si costruisce una memoria capace di sconfiggere il tempo. Memorabili, ancora oggi, sono performance come Che cosa è il fascismo ed Ebrea, realizzate negli anni Settanta, proprio quelli in cui si concentra la proposta curatoriale della Cherubini, una proposta che ripercorre questo tempo speciale di Mauri, il cui tema generale, se vogliamo, è proprio il tempo stesso e il suo senso per l’umanità.

Sicché nelle stanze di palazzo De Sanctis si alternano immagini, espressioni del complesso linguaggio dell’artista romano, fra tracce video, scatti di performance, installazioni e fotografie che narrano il costruirsi e lo spezzarsi del pensiero umano, in sostanza l’espressività dell’individuo e della società troppo spesso subissata di drammi e tensione. Magnetiche e intrise di pathos sono le foto in studio della performance realizzata a Roma nel 1973 con Elisabetta Catalano, autrice delle stesse con Fabio Mauri, ma anche e soprattutto quella, sempre della Catalano, Fabio Mauri e Pier Paolo Pasolini alle prove di Che Cosa è il Fascismo 1971, 2005, senza contare l’installazione Intellettuale – Pasolini del 1975. L’esposizione è anche ricca di disegni, carboncini su carta, tecniche miste, stampe serigrafiche e collage che mostrano la dedizione di Mauri all’esercizio dell’abbozzo di idee e pensieri che, tuttavia, si palesano in una forma finita e definita, ovvero di vera e propria opera d’arte. Fra queste trovano posto anche alcuni frammenti di lastre fotografiche: Formazione di pensiero anarchico del 1973, e una carta, sempre fotografica, su legno, verniciata ad acqua e cera d’api, intitolata Brava Gente del 2005, dove s’intravede un particolare dello scatto della Catalano di Ebrea. Quest’ultima, in particolare, sebbene di recente produzione, risulta molto significativa per visualizzare il senso generale dell’arte di Mauri, da intendersi come un unico e continuo flusso dove ogni sua opera è indissolubilmente legata all’altra. Non mancano, infine, le note pile datate 1968, né il ciclo Manipolazione di cultura, qui rappresentato con una litografia del 1975 e un libro d’artista del 1976.Fabio Mauri 1968-1978 è dunque un’esperienza che permette di approfondire ulteriormente lo spirito di una delle personalità più influenti, complesse ma anche intense, del secondo novecento artistico italiano.

Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Dramaphone, 1976 – Poltrona, cesto con garofani – Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Linguaggio è guerra, 1974. Reperti fotografici con timbro. 41,7×29,8 cm cad. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Insonnia per due forme contrarie di universo, 1978. Installazione, dimensioni variabili. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Manipolazione di Cultura, 1975 – Litografie 45x72x3 cm cad. – Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Intellettuale – Pasolini, 1975 – Installazione dimensioni variabili – Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Cinema a luce solida, 1968. Metacrilato e luce. 170×74,5×68 cm. Collezione privata, Milano.
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Cina Asia Nuova, 1996. Installazione dimensioni variabili. Courtesy the Estate of fabio Mauri and Hauser & Wirth
Castelbasso 2018
Fabio Mauri, Pila luce solida, 1968 – Metacrilato e luce, 76,5x27x27 cm – Collezione Nunzio Vitale, Salerno

Dalla mostra dedicata a un artista storicizzato passiamo a quella più di ricerca impaginata da Matteo Fato che, tuttavia, con la storia ha molto a che fare, nella fattispecie quella della collezione della Fondazione Malvina Menegaz. Il curioso titolo che accompagna questo spaccato recita: Sarà presente l’artista, ovvero una frase che, scelta in collaborazione con il curatore Simone Ciglia, fa il verso a una nota dicitura che in passato spesso accompagnava gli inviti alle inaugurazioni. Se questo titolo lo avesse usato Emilio Prini forse all’apertura della mostra l’artista non lo avremmo mai visto (alla quale, tuttavia, c’era), ma ironia e gioco a parte, in questo caso esso si riferisce alla presenza dell’artista trasfigurata nell’essenza delle proprie opere. Bastino queste, infatti, a raccontare una storia, a parlare del mondo in cui viviamo, a lasciare per il futuro segni e tracce della cultura del presente, ma sempre nella consapevolezza che guardare e conoscere il passato è un’esercizio essenziale alla coscienza dell’individuo.

Abbiamo in questo modo un Matteo Fato che si misura e si mette in dialogo con la storia della Fondazione e la sua raccolta, analizzando e scegliendo alcuni pezzi che raccontano innanzi tutto quella del gusto della famiglia Menegaz. Fra questi spicca l’intrigante ritratto di un astronomo non datato che, a guardarlo bene, si potrebbe ragionevolmente collocare intorno alla fine del ‘600, preso a pretesto da Fato quale ideale punto di partenza dell’intero percorso espositivo. Da qui inizia infatti una riflessione sul concetto di osservazione, dunque e di conseguenza sulla percezione della realtà, cui Fato risponde con una selezione di proprie opere affatto scontata, ma soprattutto con l’invito a recuperare il senso del vedere senza filtri, quell’esercizio del guardare “ad occhio nudo”, oggi completamente dimenticato e abbandonato. A proposito di questo ritratto, incontriamo in relazione ad esso, un’interessante opera giovanile, poco vista, un neon modellato nella forma di un asterisco aperto che riconduce intellettualmente a quella di una stella, dove l’associazione al tema dell’osservare si consuma non solo nell’intuitiva relazione fra le due ma anche nella “visione”, o meglio percezione, di un qualcosa di celato – misterioso se vogliamo – cui fa da sponda un piccolo Spalletti azzurro. È un’associazione, questa, che funziona altrettanto bene anche fra il meraviglioso bozzetto pittorico di Michetti cui si accompagna un piccolo quadro in cassa – elemento peculiare in Fato – di matrice pseudo astratta, oltre che per quasi tutti gli interventi presenti nelle sale successive dove, fra un Boille, un Festa e un Turcato, Matteo Fato ci regala piacevoli connessioni con la propria opera. Fra queste è di grande impatto quella allocata nella terza sala di palazzo Clemente dove, il grande dipinto Senza Titolo (Somersault) del 2015,  dai toni verdi e pastosità tattili, anche questo incastonato in una cassa, dialoga con un lavoro del grande Mario Ceroli – dove è proprio la cassa a risultare elemento centrale della sua composizione  –  lasciando intuire infine agli “osservatori” la stringente relazione che intercorre fra il gesto artistico e il mondo della natura. In conclusione, l’invito di questo progetto curatoriale ideato da Simone Ciglia e di Matteo Fato dunque, è quello di lasciarsi coinvolgere verso un “vedere” che non è solamente e banalmente tecnico, ma è anche e soprattutto intellettuale, sensibile ed emozionale, sicché la presenza dell’artista non sia solo un fatto mondano ma ritorni ad essere quello che è realmente e originariamente: una pura essenza creatrice.

Castelbasso 2018
Matteo Fato, Senza titolo (SOMERSAULT), 2015 / 2017 olio su lino, 167 x 143 cm, cassa da trasporto in multistrato; pastello a olio su carta, 50 x 35 x 45 cm, cornice in multistrato Courtesy dell’Artista & Galleria Michela Rizzo, Venezia Collezione Fondazione Malvina Menegaz, Castelbasso
Castelbasso 2018
Matteo Fato, Senza titolo (SOMERSAULT), 2015 / 2017 olio su lino, 167 x 143 cm, cassa da trasporto in multistrato; pastello a olio su carta, 50 x 35 x 45 cm, cornice in multistrato Courtesy dell’Artista & Galleria Michela Rizzo, Venezia Collezione Fondazione Malvina Menegaz, Castelbasso
Castelbasso 2018
Matteo Fato, Senza titolo (oggetto scomposto), 2012 / 2016 oggetto scomposto, colla di coniglio e pigmento su legno e lino; materiali vari, dimensioni variabili Courtesy dell’Artista
Castelbasso 2018
Matteo Fato, (ricordi di una nuova stella), 2009 / 2018 neon soffiato, 40 x 40 cm (circa) Courtesy dell’Artista

Il programma completo di Castelbasso 2018 sul sito della Fondazione Menegaz

FABIO MAURI 1968-1978
a cura di Laura Cherubini
Palazzo De Sanctis
dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24. (Lunedì 13 agosto aperto)

Sarà presente l’artista
#0 MATTEO FATO
a cura di Simone Ciglia
Palazzo Clemente
dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24. (Lunedì 13 agosto aperto)
Ingresso unico per entrambe le mostre 8 €

Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture
tel. 0861.508000
info@fondazionemenegaz.it
info@fondazionemenegaz.it
www.fondazionemenegaz.it

Tags: Fabio Mauri Fabio Mauri 1968-1978 e Matteo Fato protagonisti di Castelbasso 2018 Fondazione Malvina Menegaz Matteo Fato

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