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Kathy Herbert

L’intera arte di Kathy Herbert è permeata dal desiderio di comprendere il processo d’interazione fra l’essere umano e la Terra ma, soprattutto, obiettivo della sua arte è la creazione di idee in grado di mettere in relazione gli individui fra di essi e connetterli al Mondo.

Il movimento artistico dedicato all’ecologia ambientale è stato uno spontaneo proseguimento delle correnti che lo anticiparono, come l’Arte Povera e la Land Art a cui la Herberth afferì agli esordi della sua carriera, ma, con la crescente critica iniziata negli anni Ottanta verso la scultura tradizionale, vista sempre più come obsoleta e potenzialmente in disarmonia con l’ambiente, vennero adottate nuove visioni concettuali atte a preservare l’equilibrio con la Natura.

L’arte della Herbert non si limita all’uso di materiale presente in natura per realizzare le proprie creazioni se non espressamente per indagare ed esprimere al meglio il suo desiderio di scoperta e di analisi dei processi naturali che ci circondano. Fra i suoi “Process”, opere in continuo divenire, appare Bricks to Shells (2012-in corso) che narra del processo erosivo marino e della conseguente modifica dei materiali. Le conchiglie, originarie dimore di creature marine, diventano parte integrante di un lavoro di ricerca e riqualifica dei materiali edili restituiti dalle acque del Mare d’Irlanda che la Herbert raccoglie e modella a sua volta a mo’ di coclea.

L’osservazione della Natura e dei suoi mutamenti è alla base della ricerca artistica di Kathy Herbert che attraverso il processo conoscitivo intende creare connessioni con l’essere umano e la propria essenza in relazione con il Mondo naturale. Un esempio è dato dall’opera dal titolo All we’ve got (2011), una scultura sferica in pietra calcarea che mantiene la traccia, la memoria, delle mani che l’hanno creata. Quelle stesse mani che con un gesto protettivo trattengono fra di loro l’energia vitale terrestre, come se l’artista volesse invitarci a prenderci cura reciprocamente dell’unico bene che disponiamo e che condividiamo: il pianeta terra.

In seguito alla grande eredità ambientale lasciata dall’artista tedesco Joseph Beuys, la Herberth cerca con il suo lavoro di sollecitare una coscienza critica nel pubblico attraverso ciascuno dei suoi “Work”. In Trail (2010) crea un vero e proprio percorso ripetibile e riconoscibile grazie all’aggiunta al disegno delle coordinate geografiche e alla denominazione del luogo in cui è presente l’albero da lei rappresentato graficamente per mostrare come la vegetazione sia costretta a vivere in condizioni di totale restrizione nei centri urbani mentre in Urban Foxes (2007) ci pone di fronte a una problematica ambientale che vede il mutamento comportamentale e l’adattamento abitativo delle volpi alla vita urbana per sopperire alla carenza alimentare del proprio habitat naturale. Ciò dimostra come l’inquinamento abbia compromesso la vita di questa specie animale costretta per sopravvivere a rifugiarsi in un’ambiente “civilizzato”.

In nuce, l’osservazione, la comprensione e l’interazione fra individui è ciò che prevale nell’arte di Kathy Herbert che aspira alla connessione delle persone all’ambiente naturale quotidiano ma di cui pone sotto osservazione alcune strane tendenze, come nel caso del suo Blanchardstown Walking (2013): un quaderno in cui annota ogni giorno ciò che vede e ciò che ascolta durante alcune brevi soste nel centro commerciale più grande d’Irlanda, il Blanchardstown Centre. Quest’ultimo può essere definito secondo il neologismo creato dall’antropologo francese Marc Augé un nonluogo, uno spazio non relazionale in cui le persone sono solite trascorrere del tempo senza mai realmente entrare in connessione fra loro. Contrariamente a tali luoghi non identitari la Herbert cerca, attraverso la sua pratica artistica, di creare relazioni simpatetiche in spazi antropologici dove l’uomo possa essere in grado di entrare in contatto con sé stesso e la Natura che lo circonda ed esperire così di uno spazio socializzato in pieno rispetto delle pratiche ecologiche ambientali.

Il suo modo di lasciare il segno è a tratti intangibile ma estremamente evidente per quanto riguarda l’aspetto umano e naturale poiché ci suggerisce una nuova visione e un nuovo approccio alla vita in conformità alla Natura. Draíocht Residency (2013) dimostra come l’artista sia alla costante ricerca di qualche elemento vegetativo in grado di ricondurre l’uomo alla Natura anche in quegli spazi in cui essa viene cancellata attraverso interventi di urbanizzazione. Leaf Survey, Leaf Graffiti e Word Tree fanno parte di questo ciclo di lavoro nato durante la residenza artistica a Draíocht, Blanchardstown. La restituzione sociale di ogni suo intervento artistico è quindi la testimonianza reale e consistente dell’operato di una donna che ogni giorno fa delle sue idee il suo vero prodotto artistico.

Kathy Herbert

 

Pallas Projects/Studios

 

Valeria Ceregini

 

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Valeria Ceregini

Valeria Ceregini è una storica dell’arte, curatrice e scrittrice indipendente con sede a Torino e a Dublino, Irlanda. Ha conseguito la laurea magistrale in Semiotica presso l'Università di Torino e in Storia dell'arte contemporanea cum laude presso l'Università di Genova. Ha proseguito i suoi studi in storia dell’arte frequentando la Scuola di Specializzazione in Beni Artistici Storici dell'Università di Genova. Nel 2015 è stata Assistente Curatore presso la GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, nel 2016 curatrice editoriale e archivista presso la Fondazione Centro Studi Piero Gilardi. Dal 2015 è contributore abituale per alcune riviste di settore e risulta vincitrice di diverse residenze europee per curatori. Dal 2017 collabora come curatore con il Pallas Projects/Studios di Dublino e con la SEA Foundation di Tilburg, Olanda.