home Notiziario, Recensioni LA TORRE DI BABELE

LA TORRE DI BABELE

 

Lo spazio della Ex fabbrica Lucchesi di Prato ospita La Torre di Babele a cura di Pietro Gaglianò. La Torre di Babele si inserisce tra gli eventi correlati al Grand Opening del nuovo Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci ed è realizzata in collaborazione con più di venti gallerie toscane aderenti all’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea (ANGAMC). La Toscana del contemporaneo è caratterizzata da un arcipelago di presenze che rinnovano la naturale disposizione all’arte di questa terra e che si compenetrano e si giustappongono, pur nelle specifiche perspicuità, inverando un panorama artistico assai proteiforme. Le singole prospettive delle gallerie d’arte contemporanea in Toscana – ora rivolte ai grandi Maestri del Novecento, ora a ricerche più sperimentali – generano un sempre fecondo dialogo con l’ecosistema culturale regionale.

Come evidenzia il curatore Pietro Gaglianò, la narrazione veterotestamentaria della Torre di Babele già possiede, insiti in sé, due topoi che ben s’attagliano al parlar d’arte. In primo luogo, in essa è presente la volontà di superamento del limite: archetipo ubiquo e sempiterno delle umane meditazioni. Ma innalzare torri che vogliano giungere a Dio reca necessariamente gli enzimi di una autodistruttiva hybris? Al gesto prometeico segue necessariamente la tragica caduta? A questi interrogativi se ne aggiungono di certo degli altri che sono ancor più specificamente attinenti all’investitura dell’artista. Se l’artista è di fatto deus in terris, come sosteneva il sommo filosofo neoplatonico Marsilio Ficino, può dunque l’uomo grazie ai suoi sigilli di intelletto e di creatività levarsi fino agli iperuranici cieli? Dunque: nel destino dell’uomo c’è l’inquieto vagabondare per oscuri intermondi o la luce salvifica di una faustiana redenzione?

Nel racconto di Babele si evince un secondo tema fondante. Un Dio non imperscrutabile dinanzi agli aneliti dell’uomo moltiplica gli idiomi e con fare capriccioso sentenzia: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Ma il plurilinguismo così inaspettatamente sopraggiunto sulla terra diviene realmente veto esequiale all’agire umano? O per converso trasfigura in un’iperbole di sorprendente potenza? Una panoplia di lingue non sancisce forse un’immensurabile egemonia del mezzo semiotico (e semantico?) potenzialmente estendibile ad infinitum? I nostri interrogativi prestano ancora una volta il fianco ad un approfondimento sull’ontologia dell’arte. L’affrancamento dalla gabbia incancrenita di un’unica lingua non dona all’artista forse la libertà più alta d’espressione?

Scrive Gaglianò: “Le opere de La Torre di Babele esistono tutte in una doppia condizione. Sono state scelte perché interpretano, in modi diversi e originariamente irrelati tra loro, alcuni o tutti i temi che guidano la mostra: il superamento del limite, la contestazione dell’autorità, il rapporto con l’indicibile, l’evocazione dell’invisibile e, sul piano formale, la molteplicità del linguaggio. E tutte insieme compongono un atlante temporaneo in cui le ragioni di ognuna si riverberano nel disegno complessivo. Al tempo stesso ogni opera contiene e raffigura un collasso del tentativo di ridurre l’intelletto e di uniformarlo, ognuna è una rappresentazione aperta, discorde, alla lettera babelica. La varietà degli alfabeti formali con cui questi lavori si presentano al mondo, dai linguaggi storici alle installazioni più irrituali, insiste sulla dichiarazione di quel coraggio visionario che anima la genesi dell’arte, arrivando ogni volta a implicare lo spettatore come interlocutore intelligente, desiderante, potenzialmente abile a riformulare il senso dell’opera e il suo posizionamento rispetto a essa.

La Torre di Babele mette in scena una “utopia del disincanto”: gli artisti sono come altrettanti architetti babilonesi, incauti e tenaci, costruttori dell’invisibile attraverso il visibile. Le opere sono la prova di un tentativo di emancipazione. Una professione di fede secolare nell’abilità dell’atto poetico, ripulito da qualsiasi mistificazione, come spazio di incontro immaginifico e morale”.

La Torre di Babele vede le opere di: Matteo Basilé, Manfredi Beninati, Renata Boero, Luigi Carboni, Francesco Carone, Bruno Ceccobelli, Giuseppe Chiari, Matteo Ciardini, Carlo Colli, Fabrizio Corneli, Vittorio Corsini, Marta Dell’Angelo, Aron Demetz, Piero Gilardi, Zoè Gruni, Michele Guido, Paolo Icaro Chissotti, Paolo Leonardo, Giuseppe Maraniello, Paolo Masi, Hermann Nitsch, Luigi Ontani, Arcangelo Sassolino.

Gli artisti protagonisti sopra citati sono presentati rispettivamente dalle gallerie: ZetaEffe Galleria, Galleria Poggiali, Galleria Open Art, Tornabuoni Arte, SpazioA, Guastalla Centro Arte, Armanda Gori Arte, Paola Raffo Arte Contemporanea, Die Mauer, Galleria Susanna Orlando, Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Passaggi Arte Contemporanea, Galleria d’Arte Barbara Paci, Galleria Giraldi, Galleria Il Ponte,Eduardo Secci Contemporary, Marcorossi artecontemporanea, Galleria Bagnai, Flora Bigai Arte Contemporanea, Galleria Frittelli Arte Contemporanea, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, Santo Ficara Arte Moderna e Contemporanea, Galleria Continua.

Fino a Domenica 6 Novembre 2016.

About The Author