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Sean Scully a Villa e Collezione Panza. Long Light

Antonella Breci

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Sean Scully villa Panza

Gli spazi della dimora varesina ospitano fino al 6 gennaio 2020 un importante nucleo di lavori realizzati da Sean Scully tra il 1970 e il 2019, dipinti, carte, fotografie, sculture, installazioni e video, allestiti seguendo un percorso cronologico e tematico che focalizza le tappe fondamentali della sua ricerca.

Le ragioni della mostra Long Light dedicata a Scully (Dublino, 1945), artista americano di origini irlandesi, prendono corpo proprio dall’identità e dai caratteri che hanno costituito nel tempo la storia della Villa e della Collezione di Giuseppe Panza di Biumo. Le opere in mostra vogliono raccontare i due aspetti, meditativo e emozionale, che convivono nella visione di Scully al fine di stimolare un dialogo poetico con l’architettura del museo, i suoi spazi interni e l’ambiente esterno.

Scully non è un artista della scuderia del collezionista milanese. Fra i documenti custoditi nell’archivio Giuseppe Panza Papers, si trova la testimonianza che Panza nel 1989 visita lo studio dell’artista a New York, manifestando interesse per White Window (1988), un dipinto che entrerà poi nella collezione della Tate Gallery. Molti temi della poetica di Scully sono in sintonia con l’esperienza e la filosofia di Panza: la centralità della luce e del colore, il pathos tipicamente europeo e l’assertività americana sintetizzano questo comune sentire.

Il titolo della mostra, Long Light, scelto dall’artista, oltre ad essere un omaggio al suo dipinto del 1997 conservato al MAMbo di Bologna, contiene proprio il germe della centralità della luce. Attraverso la luce e il colore, Scully intende decodificare la peculiarità della condizione della vita umana, con tutte le fragilità, le paure e le sofferenze che essa comporta. La luce è l’elemento costante della sua opera, il dispositivo che apre alla comprensione, schiudendola al visitatore.

L’itinerario si apre all’ingresso del primo piano con un nucleo di lavori dei primi anni Settanta: le Supergrid, reticoli intricati di strisce colorate sovrapposte e intersecate che creano disorientanti illusioni spaziali. Strato dopo strato, la superficie si anima di fasce verticali, orizzontali e diagonali di colore acrilico, applicate con la tecnica della pittura industriale seguendo i confini di una trama di nastro adesivo.

La ricerca di Scully prosegue attraverso le Overlay e i Black paintings, fino ad arrivare all’opera del suo manifesto artistico: Backs and fronts del 1981. C’è il ritorno ad una più ampia gamma cromatica, ad una gestualità più intensa che gli permette di proseguire la sperimentazione artistica. Si tratta di un’opera quasi monumentale, che rende omaggio ai Tre musici di Picasso. La composizione finale si articola di 11 pannelli – musici il cui accostamento simboleggia le relazioni umane. La disarmonia delle diverse dimensioni dei pannelli crea un profilo superiore non compatto, che ricorda lo skyline di New York.

Backs and fronts, 1981

Il percorso continua con una serie di moderni polittici a olio realizzati tra il 1981 e il 2005. Scully paragona queste opere agli aquiloni, oggetti leggeri, che però non esistono finché il vento non li solleva. I suoi dipinti sono pesanti, hanno una pelle scultorea che fa tremare i muri ai quali sono appesi, anche se rimangono liberi proprio come aquiloni.

Seguono le testimonianze intime della serie Passenger, in cui lo spazio pittorico accoglie degli inserti, dipinti nel dipinto e paesaggi come finestre aperte sul mondo esterno, per arrivare nello studio di Giuseppe Panza, dove è allestito il pastello Doric 8.18.18.

Le fotografie, che irrompono nel percorso espositivo, documentano alcuni dei viaggi compiuti dall’artista. Si tratta di luoghi assai distanti, accomunati da atmosfere disabitate e silenziose e da un’insistita ricerca di geometrie. Scully realizza questi scatti per catturare lo spirito dei luoghi e fermarne l’emozione pura.

Attraversati gli ambienti di Dan Flavin nei rustici, si raggiunge il piano terra. Gli spazi delle Scuderie e della rimessa delle carrozze raccolgono la serie Landline e la sequenza di dipinti intitolata Wall of Light, un sovrapporsi di pennellate fulminee e vibranti che raccontano di volta in volta il corpo della natura e disegnano il volto del paesaggio.

Inedita è la serie Madonna realizzata nel 2019, ispirata alle immagini scattate dall’artista durante un viaggio con la sua famiglia sull’isola Eleuthera. In questo gruppo di lavori Scully raffigura il secondo figlio in riva al mare protetto da una figura femminile che evoca l’eterna relazione tra Madre e Figlio. Così ancora una volta Scully ribadisce come la sua produzione sia sempre al limite tra figurativismo e astrattismo.

L’itinerario della mostra riconduce in modo circolare all’esterno, nel cortile, dove si trova la serra di epoca Portaluppi. Qui si chiude il percorso espositivo con Looking Outward, che andrà ad arricchire la collezione permanente del museo. Si tratta di un lavoro site specific, sulla scia di quelli realizzati da Scully negli ultimi anni, nella chiesa di Santa Cecilia de Montserrat a Barcellona e l’imponente vetrata nella cattedrale di Girona. Con la pasta di vetro densa e le linee tremolanti, la landline, composta da ventisette windows, crea delle pause ritmiche tra vetri trasparenti e colorati. L’artista trasforma così la serra del giardino in un raffinato caleidoscopio di luci e cromie, conferendo all’Arte il compito di traghettare e unire mondi diversi.

Looking Outward, 2019
  • Backcloth
  • Passenger Red Orange
  • Doric 8.18.18
  • Madonna
  • Block

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