Teo de Palma / Vertigoarte / Cosenza
Una ricerca raffinata e sofisticata che penetra la dimensione del sogno, che nebulizza il sottile confine tra veglia e sonno nei contorni sfumati di disegni acquerellati; è la ricerca pittorica di Teo de Palma, in mostra alla Galleria Vertigoarte di Cosenza.
Bagliori di luce, bianche croci, fragili foglie, farfalle esili – scrive Ghislain Mayaud, curatore dell’evento – «urlano sullo spettatore l’unico suono possibile scientificamente accatastato dalla morte». Sono emblemi di una riflessione sentita sull’effimero, indagato con la minuzia dello scienziato e col cipiglio dell’artista; uno studio sulla dicotomia tra finito e infinito, che attiene alla necessità intima di interrogarsi approfonditamente, in modo complesso.
Sono evidenti le ragioni archetipiche della fascinazione dall’indefinibile, rimando poetico costante in de Palma, che nella sua trasposizione in immagine si lega ad alcuni simboli consolidati, rielaborati secondo una visione personale. Immagini come la farfalla o il cervello sono assurte quali entità misteriche di chiara suggestione. E se il fascino della farfalla deriva dal suo ciclo vitale e dalla sua durata temporale limitatissima, il cervello allude a ciò che è idealità impalpabile, ma anche sostentamento della vita. Entrambi i simboli, implicati reciprocamente fin dalle loro origini dalle relative meditazioni di filosofi ed intellettuali, custodiscono il mistero di ogni essere. Dischiudono problematiche esistenziali che ancora non è possibile esaudire, giacché se è vero che nel corpo risiede lo spirito, quest’ultimo non può che ambire istintivamente all’eternità. “Nella quiete totale dell’ombra” de Palma posiziona l’anima nella mente, forse persuaso – come Descartes con la ghiandola pineale – che con la volontà dell’intelletto, lo spirito possa guidare il corpo. Per sottrarsi al tempo ed astrarsi dalla materia, l’artista si affida alla smaterializzazione nella luce, che in ultima istanza si perde e si dissolve in un luminoso ignoto, che è l’ineffabile stesso.
Con una pittura dai toni delicati de Palma richiama la luce immateriale, evoca la dimensione ultraterrena, presentificata dalla croce – figurazione terrena del divino -; «con una voce notturna, con un grido (…) – per citare ancora Mayaud – la tragedia in atto filtra la sporadica luce bianca della foresta sulle croci. Un trittico, roseto dei filosofi, scavalca il pianto della natura. Per i giorni alti e perduti chiede alle foglie di parlare».