Ormai è un fatto acclarato. Il ricamo nell’arte è, a pieno titolo, un veicolo espressivo anche maschile, fuori dalle griglie dello stereotipo di genere. Non solo Alighiero Boetti dunque o, per chi abbia la memoria più corta, le più recenti lacrime di Francesco Vezzoli. È infatti del 2013 la mostra “RAQAM, disegno e segno” della galleria romana Rossmut, con ben tredici artisti. E, sempre a Roma, dal 7 al 20 ottobre lo Spazio Mater di via Ludovico Muratori 11 diretto da Ilaria Sergi ha ospitato “Momentum” dell’artista salentino Gianfranco Basso, classe 1978, la prima personale che l’artista dedica interamente proprio al ricamo.
Il momento che, come il titolo della mostra suggerisce, l’artista vuole fermare è quello di un presente che si impone e chiede di essere afferrato in tutta la sua caducità. Cuore del percorso espositivo è un’opera emblematica, “Momentum” appunto, che vede la vicenda biografica fare capolino nel suo percorso di ricerca, in risposta all’esigenza di elaborazione di un lutto attraverso le forme dell’arte. Quest’opera infatti, spiega il curatore Carmelo Cipriani, “nasce dall’essere venuto a contatto con la morte di un ragazzo in giovanissima età. Basso trasforma l’evento doloroso in un ragazzo che guarda l’orizzonte, rappresentato da una linea che demarca il momento del trapasso. Il tema è un pretesto trasformato dalla tecnica”.
Provenendo dalla pittura vera e propria, da tre anni Gianfranco Basso ha scelto proprio ago e filo come vettori di una ricerca minuziosa, quasi rarefatta, che va concrezionando sulla tela forme preziose, aeree, a volte oniriche e a volte quasi metafisiche nella loro inafferrabilità. L’attenzione dell’artista è volta all’osservazione della globalizzazione dell’umano, facendo del filo stesso con cui cuce la superficie dell’opera una pervasiva metafora dei flussi di comunicazione che tutto attraversano e pervadono. “Oggi tutto sembra essere ridotto a esili linee o esili fili – spiega Gianfranco Basso – i rapporti sentimentali, per esempio… Nessuno vuole ‘legarsi’, preferendo rapporti esili che in qualunque momento si possono spezzare”.
Un’umanità filiforme, filamentosa, e in balia del vento e della frenesia quotidiana si ritrova – nelle opere dell’artista – ad abitare temporaneamente uno spazio di quiete inquieta, di sospensione sospettosa, di meditazione vertiginosa, uno spazio tramato di pochi segni, scarni, essenziali, che riescono a essere anche ricchi, a volte persino opulenti, specie quando il ricamo multicolore si accompagna al nero del supporto.
In un vuoto di valori, i fili mossi dall’artista vengono da lui concepiti “come radici, capaci ancora di legarci alla terra, oppure come vasi sanguigni in cui scorre la linfa vitale”. Nella loro tangibilità, i fili sono insieme metaforici e materici. È un lavoro rigoroso, quello che Gianfranco Basso porta avanti attraverso il ricamo, supportato da una manualità che affonda le radici nel suo vissuto familiare. Non solo. Per Basso il ricamo è anche eredità culturale profonda – come evidenzia Cipriani nel suo testo critico – ritracciabile nel recupero di “antiche tecniche scritte nel Dna salentino, che porta in sé una grande tradizione storica del cucito e del ricamo”.
“Mia mamma è una sarta e mio padre un pittore – racconta l’artista – e quando ero piccolo cucivo con ago e filo i vestiti per i miei giocattoli, ma poi la pittura ha preso il sopravvento. Poi tre anni fa, nel mio studio, guardavo un telo nero che copriva un mobile e di colpo mi è tornato in mente il gioco che facevo da piccolo. Avevo un gomitolo di spago per pacchi e cosi ho iniziato a fare delle prove”. Questo percorso di ricerca che attraversa le forme usando il ricamo è ripercorso nella mostra romana proprio a partire dal suo momento fondativo, cioè una piccola tela nera con una giostra ricamata. Gioco e ricerca incessante, biografia come vestito abitabile da ricucirsi addosso e riflessione etica che si fa segno materiale sono i temi che si incrociano negli spazi della mostra romana.
Non si deve pensare a una mera calligrafia artigianale. Resta pittorico l’impianto, la modalità e l’organizzazione del lavoro di Gianfranco Basso. “Il lavoro del ricamo costituisce la parte finale di un lungo processo mentale – spiega Basso – registro delle note vocali conservando quello che mi passa per la testa, poi faccio degli schizzi a matita veloci riascoltando le parole, quindi rielaboro tutto in un disegno definitivo e lo trasferisco su tela e infine ricamo. L’altro mezzo che mi aiuta è la macchina fotografica: già la foto è la genesi del lavoro, poi la rielaboro e la trasferisco sulla tela”.
Un’attenzione particolare viene dedicata ai supporti, alla scelta del tessuto che non è mai lo stesso, ma varia di volta in volta a seconda dell’esigenza espressiva. Su questo sostrato materico si addensa lo spessore dei fili giustapposti, attentamente dosati, alla ricerca di un’essenzialità grafica che si dà senza urgenze, senza espressionismi. L’esigenza, nei lavori in mostra, è quella di uscire fuori dalla forma quadro: ai più tradizionali supporti intelaiati si affiancano infatti anche tele prive di telaio, lasciate cadere nella loro morbidezza, simili a stendardi o vessilli. Se ne potrebbe ammirare anche il retro, la parte che normalmente dell’opera resta celata, scoprendo la meticolosa precisione del lavoro dell’artista. Nella prospettiva auspicabile, forse, che queste opere possano abitare sempre più lo spazio, liberando la forma, il movimento e anche le possibilità di interazione. La pratica creativa di Basso potrebbe aprirsi, perché no, anche a futuri sviluppi performativi: è già successo a Cosenza la scorsa estate in occasione della residenza d’artista BoCS Art: Gianfranco Basso ha ricamato in pubblico nel mio box per 15 giorni consecutivi, creando un lavoro poi donato al museo cosentino.